un_cuento_chinoSi è conclusa nei primi giorni di un novembre inaspettatamente caldo (benché reduce da uno dei nubifragi più forti che Roma ricordi da anni) la sesta edizione del Festival del film di Roma. A dispetto di infausti pronostici che ogni anno gravano sulla discussa kermesse romana, la mostra diretta da Piera Detassis torna a risplendere, riportandoci ai fasti di certe edizioni passate.

Nonostante la grande disomogeneità e la sovrabbondanza della selezione, nonostante i molteplici aspetti politici che caratterizzano il festival, alcuni dei film presentati si stagliano, in un panorama internazionale, come prodotti di gran livello.

 

Oltre agli attesissimi Une vie meilleure di Cédric Kahn e The Lady di Luc Besson, molto belli e forse fin troppo poco considerati nell’assegnazione dei premi, il vincitore su tutta la linea, con Marc’Aurelio d’oro e premio del pubblico, l’argentino Un cuento chino di Sebastian Borensztein, un apologo sull’integrazione ambientato a Buenos Aires. Un gradino sotto, il concorso ci propone questo bellissimo My Week with Marilyn di Simon Curtis, un geniale biopic intorno all’indimenticata diva degli anniCinquanta, interpretata per il grande schermo da Michelle Williams.

Come ogni anno, la sezione più interessante del festival si dimostra essere “Extra”: Mario Sesti porta a Roma una serie di film di rilievo, una qualità che deriva anche dalla capacità del festival di “fidelizzare” alcuni registi, nati e cresciuti sotto la sua ala protettrice. È il caso di James Marsh che, dopo l’apprezzatissimo Man on Wire presentato qui nel 2008, torna con Project Nim, “pseudo”-documentario sull’inquietante storia di un gorilla che è stato abituato da un gruppo di scienziati a vivere secondo le regole dell’umana convivenza. Da segnalare anche il pregevolissimo The Dark Side of the Sun di Carlo Shalom Hintermann (italianissimo, a dispetto del nome) e Comic-Con Episode IV: A Fan’s Hope del Morgan Spurlock di Super Size Me. Il Marc’Aurelio d’oro per il Miglior Documentario è andato a Girl Model di David Redmon e Ashley Sabin, che racconta l’inquietante mondo delle baby-modelle.

“Eventi speciali” sempre di buon livello. Da segnalare quest’anno l’immancabile episodio della saga di Twilight di Stephenie Meyer. Quest’anno era la volta di Breaking Dawn per la regia di Bill Condon. Grande successo per 11 metri, il documentario di Francesco Del Grosso sul personaggio di Agostino di Bartolomei, regista della Roma dello scudetto morto suicida negli anni Novanta. E dopo l’evento mainstream de Il Re Leone in 3D, la Sala Santa Cecilia gremita ospita Pina, il film di Wim Wenders in 3D dedicato all’indimenticata regina del teatrodanza Pina Bausch.

Intanto, il focus di quest’anno recuperava una serie di titoli della storia del grande cinema inglese (Stephen Frears, Powell e Pressburger, Derek Jarman, Jack Clayton) affiancandoli a produzioni più recenti (The Deep Blue Sea di Terence Davies, Page Eight di David Hare, Tyrannosaur di Paddy Considine alla sua prima regia).
Chiudiamo questa panoramica sulla festa con “Alice nella città”, in cui è spiccato il bellissimo Up on Poppy Hill di Goro Miyazaki (già autore de I racconti di terramare, figlio del celeberrimo Hayao, autore della sceneggiatura), la commovente storia di una bambina alle prese con la scuola e con un anomalo centro culturale adiacente che tutti i ragazzi di zona stanno cercando di salvare dalla demolizione.