alt16 anni e sette mesi. È a questa età che Rimbaud scrive la Lettera del Veggente. Era indirizzata a Paul Demeny con l'intento di offrirgli «un’ora di letteratura nuova». Nel bel mezzo dell'età «delle speranze e delle chimere», all’apice della sua rabbia di adolescente ribelle, Rimbaud scrive il primo vero manifesto di una nuova letteratura d’avanguardia.

In questo testo il Poeta è raccontato come un Veggente che punta all’ignoto, verso orizzonti sconosciuti. Il Veggente non è solo il navigante di un moderno irrazionalismo, ma colui che potrà liberarci dall'inganno dell'io (quell'«Io-minchia, invaghito, affocato, affogato di sé medesimo» come verrà ritratto da Gadda nelle pagine di Eros e Priapo), dal centro illusorio della nostra persona, e creare una nuova lingua, finalmente libera dagli argini e dalle pastoie della soggettività. Il Veggente, dunque, «mediante un lungo, immenso e ragionato sregolamento di tutti i sensi» potrà trovare quell’Io universale, non territoriale, che accomuna tutte le persone in una “sinfonia profonda”, quell’Io che “è un altro”: Je est un autre.

L'idea di Rimbaud è di dar vita a una scrittura collettiva, ma per riuscirci deve «trovare una lingua»  che sarà «l’anima per l’anima», che «riassumerà tutto: profumi, suoni, colori; pensiero che uncina il pensiero e tira». Una scrittura che sarà macchina totale.

In questi tempi d'isteria identitaria sembra ci siano progetti in grado di fare della formula rimbaudiana “Je est un autre” il punto di partenza di un percorso che intende scavare dentro il concetto d'identità, rivelandone la fragilità, che costituisce il presupposto per un’apertura nei confronti dell’alterità. Penso a CARNE y ARENA di Alejandro G. Iñárritu, installazione di realtà virtuale che, dopo un'anteprima al 70° Festival di Cannes, è proposta nella sua versione completa negli spazi del Deposito della Fondazione Prada a Milano.

L'istallazione si basa su un percorso emozionale, vissuto in modo individuale, uno storytelling, attraverso il quale immergersi in un'esperienza chiave per provare a comprendere il contemporaneo, quella del migrante, figura chiave dell'oggi, in quanto incarna, suo malgrado, la contraddizione in atto tra un mercato del lavoro aperto e globale e la chiusura dell’universo della cittadinanza.

«La mia intenzione – ha dichiarato da Iñárritu - era di sperimentare con la tecnologia VR per esplorare la condizione umana e superare la dittatura dell’inquadratura, attraverso la quale le cose possono essere solo osservate, e reclamare lo spazio necessario al visitatore per vivere un’esperienza diretta nei panni degli immigrati, sotto la loro pelle e dentro i loro cuori».

Lasciate le scarpe, dopo un'attesa iniziale trascorsa in una sala di “incubazione”, il suono di un allarme avvisa che si è pronti a varcare la soglia. Dall'altra parte lo spazio è buio; sotto i piedi punge la sabbia pietrosa. Una volta indossati visore, cuffie e uno zaino sulle spalle l'orizzonte nero poco a poco s'infiamma di luce e diventa infinito: si è nel deserto. Chi prova ad attraversarlo, per passare dal Messico agli Stati Uniti, sa che è meglio tentare di notte, quando le ombre nascondono, confondendo le sagome nei profili del paesaggio. È in questo momento che è più facile sfuggire allo sguardo degli ufficiali di frontiera. E infatti al sopraggiungere del buio si scorgono in lontananza persone in fuga.

A questo punto sta a te decidere che cosa fare: restare a guardare, avvicinarsi, interagire...

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Una situazione inedita, che è un po' quello “sregolamento” di cui scrive Rimbaud: non si è più ai bordi della rappresentazione ma se ne diviene parte; non più spettatori ma spett-attori (riprendendo la definizione coniata da Roger Bernat, regista catalano considerato per molti versi la punta più avanzata del teatro partecipato contemporaneo), una trasformazione che comporta un mutamento nel paradigma partecipativo e che spalanca la scena verso territori mentali non esplorati.

Lo spett-attore agisce influenzato dall'occhio di chi lo osserva, spinto ad auto-rappresentarsi secondo quello stesso sguardo: è la logica esposta da Mario Perniola secondo la quale «sono visto dunque sono». Una dinamica che rende gli individui (reali e virtuali), seppure in posizioni differenti, protagonisti della stessa rappresentazione sociale. Ci si osserva e ci si specchia nell'altro, ci si giudica come spettatore e interprete del personaggio di sé medesimo. Succede infatti che il coinvolgimento aumenta con l'entrata in scena delle guardie di confine: queste ti incollano gli occhi negli occhi e poi i fari e i fucili addosso fino a penetrarti le viscere.

«Gli eroi sono gli stessi attori, tutti: quelli sotto la luce dei riflettori e quelli che rimangono nell'ombra, le comparse mute e coloro che recitano lunghe parti [...] Sceneggiatori e registi sono diventati invisibili, mentre i direttori di scena lo sono più che mai» (Bauman 2008: 153).

Ci si trova così in un limen ambiguo: se da un lato la partecipazione consiste nella possibilità di agire seguendo le indicazioni del dispositivo e affidandosi ad esso, parallelamente ogni partecipante diventa consapevole del disegno drammaturgico che lo sta governando e che contribuisce ad attivare in lui un atteggiamento critico rispetto alla situazione partecipativa che sta sperimentando.

Un atteggiamento critico non poi così diverso da quella descritto da Paul Ricoeur in Ermeneutica delle migrazioni; secondo il filosofo la nostra identità individuale scopre la propria fragilità nel momento in cui si rende conto di non essere identica a sé stessa; è proprio quando  scorge dentro di sé un elemento di estraneità, di instabilità della propria esistenza, che irrompe il «ricordo simbolico di essere stati stranieri». Quello che dunque si sperimenta in questa esperienza è il perdersi, il diventare altro (per divenire la verità di sé stessi). Je est un autre.


Bibliografia

Bauman Z. (2008): Vita liquida, Laterza, Bari

Gadda C. E. (2016): Eros e Priapo: versione originale, Adelphi, Milano

Ricoeur P. (2013): Ermeneutica delle migrazioni. Saggi, discorsi, contributi, Mimesis, Milano

Rimbaud A. (2004): Opere, Feltrinelli, Milano