altVictor I. Stoichita è un acuto storico d’arte romeno dal profilo internazionale, che persegue l’analisi di uno dei caratteri di fondo del cinema come arte visiva. La sua è del resto una parzialità di veduta, perché il “genere” cinematografico che egli affronta è – per sua natura – parziale, ancorché assai significativo: il racconto dell’investigazione criminale, derivante dal giallo. Nel suo insieme il noir è infatti particolarmente inquietante e largamente presente nell’immaginario diffuso dei poco più che 120 anni del film, e proviene direttamente, per Stoichita, dalla combinazione (pittorica) dell’impressionismo e (letteraria) del naturalismo.







L’interpretazione dei prodotti artistici del più avanzato Ottocento, all’apparenza, si affida, come per il cinema, a una condizione ottica esterna, ed è tuttavia specificamente penetrante. Infatti, pur coincidendo, anche grazie alla tecnologia (riproduzione foto-cinematografica), col rispecchiamento della nuda superficie delle cose, impatta – è questa la sua “positiva” modernità – con un enigmatico fondo oscuro, che si rivela via via sempre più, nella sua sostanza, inesplicabile e infine inconoscibile: così, da Kant a Nietzsche il noumeno è risucchiato nel nulla (cfr. il disegno dell’astrazione pura contemplato nel fotogramma di Thomas che guarda uno dei quadri di Bill in Blow Up).

È questo, a quanto sembra, il punto di arrivo dell’indagine (“storia dello sguardo”) di Effetto Sherlock di Stoichita, che dedica il suo percorso critico (partendo da Manet) soprattutto a La finestra sul cortile di A. Hitchcock (crimine assoluto) e a Blow Up di M. Antonioni (mistero impenetrabile). Lo sguardo moderno inizia a progredire (ma restano sullo sfondo le intuizioni rinascimentali di Leon Battista Alberti e del supremo Leonardo da Vinci) dalla nascita delle strutture ottiche della “Nuova pittura” (fino al culmine del cinema degli anni Sessanta: Godard, per tutti), quando «Il desiderio di conoscere e la necessità di comprendere» s’imbattono, inevitabilmente, in un «oggetto indeterminato» (cfr., al proposito, come emblematica La ferrovia di Manet).

Da subito, intanto, per Stoichita, la circolarità di senso dei quadri impressionisti, eludendo programmaticamente ogni elemento “letterario”, non può non chiamare in causa l’eterno ritorno nicciano: «non ci sono eventi e non c’è crimine» (e tuttavia «questi quadri rappresentano dei tranelli o, come potremmo forse chiamarle, delle “trappole per lo sguardo”. Catturano lo spettatore e lo coinvolgono nel processo allettante ma insoddisfacente, di decodificazione dei segni. Lo conducono, insomma, in un vicolo cieco. E ancora, afferrano i loro stessi creatori e li portano al di là delle soglie immaginarie da loro così minuziosamente definite», pp.203-204). Sarà soltanto il cinema, che con i Lumière si prenderà la scena del naturalismo più maturo, a reintrodurre la narrazione: «L’indagine sull’avvenimento come forma di prospezione ottica è uno dei principali contributi apportati dalla nuova arte cinematografica che, una volta definite le proprie sfide, instaura un dialogo con i vecchi e i nuovi dispositivi visivi. A quest’arte dobbiamo il crimine immaginario e l’immaginario del crimine» (p. 204).

L’eroe-feticcio della modernità cinematografica è a questo punto per Stoichita il detective (prototipo assoluto: Sherlock Holmes di Conan Doyle), già protagonista («maestro e schiavo») del ragionamento: ed è passato per “slittamento”, più che per metamorfosi, dalle strutture del romanzo poliziesco e «della pura percezione dei segni» alla «loro messa in discussione e talvolta, alla loro decodificazione» (cfr. il collegamento tra un Interno del 1880 di Gustave Caillebotte, impressionista particolarmente vicino a Manet, con un celebre frame del fotografo Carlo di Palma sulla scoperta del “cadavere” in Blow Up). Allora, il detective del film rispetto al detective del romanzo, condotto per mano dalla «ragion pura», «si lascia guidare dalla propria percezione visiva e, spesso, dalla propria immaginazione» (p. 205).

Ma, se ne consegue il trionfo della ratio nella conclusione del giallo giacché «i dispositivi visivi acquistano valore e senso», la fine della ricerca immaginaria porta al fallimento, all’«ultima disavventura» di Sherlock (cfr. ancora il quadro astratto di Bill interrogato invano con lo sguardo da  Thomas nel film di Antonioni): «Al punto di fuga fluttuante nella pellicola di Hitchcock corrisponde», infatti, «in quella di Antonioni, l’esplosione dei segni-punti».

C’è però da aggiungere, in conclusione, che nei film di Hitchcock (qui, La finestra sul cortile e La signora scompare) il nascondimento della rivelazione richiama, muovendosi da Lacan, il lato libidico, legato al “desiderio” di ogni impresa visiva, sebbene (La finestra sul cortile) «il lato voyeuristico del protagonista» – il suo è uno sguardo erettile quasi alla maniera delle connotazioni falliche di teleobbiettivo e di binocolo – «venga trattato con un misto di ritegno, ironia e indulgenza» (p. 110): per non annullare, appunto, la vis dello sguardo indagatore onde l’arte acquista, nonostante tutto, per ognuno di noi, profondità e senso.


Filmografia

Blow-Up (Michelangelo Antonioni 1966)

La finestra sul cortile (Rear Window) (Alfred Hitchcock 1954)

La signora scompare (The Lady Vanishes) (Alfred Hitchcock 1938)





Titolo:
Effetto Sherlock. Occhi che osservano, occhi che spiano, occhi che indagano. Storia dello sguardo da Manet a Hitchcock
Anno: 2017
Durata: 231 pagine
Genere: SAGGIO
Specifiche tecniche: 17euro
Produzione: Il Saggiatore

Regia: Victor I. Stoichita, a cura di C. Pirovano

Reperibilità