altIl problema dello sguardo, e in particolare dello sguardo dell'altro è da sempre centrale nel fare della Socìetas Raffaello Sanzio, compagnia teatrale creata nel 1981 da Romeo Castellucci insieme a Claudia Castellucci, Chiara Guidi e Paolo Guidi, che, riprendendo il titolo di un loro testo, ha mosso i primi passi nel solco dell'iconoclastia per arrivare confrontarsi con la super-icona (basti pensare allo spettacolo Sul concetto di volto nel Figlio di Dio).

 

Romeo Castellucci è stato tra i protagonisti della nuova stagione di Triennale Teatro dell'Arte. Questione di sguardi, questo il tema posto come base delle riflessioni critiche su cui è stata pensata la programmazione decisa a porre al centro delle proprie interrogazioni il vedere inteso come molteplicità di prospettive e punti di vista; un tema che volontariamente richiama l'omonima opera di John Berger («È il vedere che determina il nostro posto all'interno del mondo che ci circonda» - Berger 2009, p.9 -), saggio seminale, dall'impianto testuale innovativo, frutto dell'interazione tra immagini e parole, pensato per spingere il lettore a farsi obbligatoriamente anche “osservatore”. Del resto la “missione” di Berger, come sottolineato da Marco Belpoliti, è sempre stata quella di «fare critica sociale mettendo in discussione i presupposti visivi della cultura contemporanea» (Belpoliti 2011). 

A dare il via alla stagione è stata proprio una lectio magistralis di Castellucci dal titolo Vedersi vedere, che riporta a mente una sua precedente frase, «guardare non è più un atto innocente», nata nel corso di una riflessione sullo scandalo e sulle forme della censura che animò l’edizione 2015 del Festival di Santarcangelo; o ancora le parole adoperate per introdurre, dopo 21 anni, la ripresa dell'Orestea (una commedia organica?): «sarà come non poter distogliere gli occhi da Medusa». Come dichiarato dallo stesso regista, la prospettiva da cui affronta il problema della messinscena «è proprio quella dello sguardo dello spettatore che forma la cosa. Quini “vedersi vedere” si riferisce a questo gesto. Guardare un'immagine è un gesto estremamente potente: cosa significa? Cosa implica? Quale conseguenze morali può avere, soprattutto in questa epoca? Guardare non è soltanto un gesto meccanico, è un gesto gravido di conseguenze» (Castellucci in Marelli, 2017).

Castellucci è tornato al Teatro dell'Arte per la chiusura della stagione, questa volta con un progetto della Socìetas, Ethica. Natura e origine della mente, più che uno spettacolo un «esperimento di antropologia teatrale» come lo ha definito lo stesso autore. Tutto inizia con l'oltreppassamento della cosiddetta “quarta parete”: arrivato in sala, senza alcuna indicazione riguardo al posto, il pubblico scopre sul palco un muro con al centro un'apertura che ricalca il profilo di una donna. Una volta passato attraverso, dall'altra parte della rappresentazione, lo spettatore si trova a vivere una riattulizzazione del mito fondativo della caverna: eccolo di nuovo difronte alla maledizione platonica della fatalità delle ombre, condannate a dire sempre e soltanto il riflesso delle cose. Questo progetto, insieme semplice e complesso, aggiunge (a partire da Spinoza) un terzo elemento alla relazione Mente-Corpo: la Tecnologia, sempre più invadente nel sostituirsi al Mondo Reale, ormai ridotto a mera proiezione mediata dal dispositivo.

altQui nell'Oskené – letteralmente “oltre la scena”- non ci sono personaggi ma archetipi, figurazioni di concetti: precariamente appesa a un filo, sospesa, in alto sopra le teste degli spettatori, con l’icastico gesto di un dito levato in aria c'è la Luce a cui dà corpo Silvia Costa; in mezzo al pubblico un cane, nero, vero e parlante. Un Terranova poliglotta in funzione di Telecamera. Di là dal varco, negli spazi della platea, una moltitudine di presenze, che dà voce alla Mente. Tra questi tre poli comincia un serrato scambio di battute («Il futuro è già poltiglia / Tu hai il potere di rifondare il nuovo / Io ho pietà di tutto quello che scompare...»).
Poco a poco dall'imbocco scivola verso il pubblico una massa oscura che sarà ombra: è, come recita il testo di presentazione, «l'immagine creata nella mente dell'artista – che - raggiunge la mente dello spettatore, il quale la riceve, sì, ma nel ricevere la forma». La performance, però, congela questo istante («Un'opera non la si consegna, la si getta; non c'è pedagogia, non è educazione, è qualcosa che sbatti in faccia all'altro, costringendolo così a fare i conti con la propria responsabilità» - ibidem -): il pubblico è fatto uscire dal retroplaco prima che l'immagine acquisti sembianza; bisogna che capisca il proprio ruolo all'interno delle dinamiche spettacolari (da qui i gesti - tanto questo in chiusura quanto quello all'inizio - che lo costringono a uscire allo scoperto); del resto:

senza lo spettatore non si dà immagine. L'immagine è anche espressione della distanza: non è un oggetto, non è un'illustrazione, qualcosa che si può afferrare e consumare; l'immagine è una forma di appello, che può essere anche sgradevole. Un'immagine, degna di questo nome, ha sempre un percorso, una strategia, non appartiene a nessuno perché appartiene a tutti. [...] Sul piano della realtà lo spettacolo non consiste in nulla, non ha oggetto. È il linguaggio espressivo più fragile, perché il palcoscenico si svuota di un non persistente. Possiamo immaginare il teatro come un combustibile che consuma la propria materia. Che cosa ne resta, dunque, se non la tua esperienza? L'esperienza di ciascun spettatore? Il teatro richiede il tuo atto di presenza. L'esperienza più profonda è di chi vede: colui che vede si fa caverna accogliendo il gesto e agisce (ibid.).


Bibliografia

Berger J. (2009): Questione di sguardi. Sette inviti al vedere fra storia dell'arte e quotidianità, Il Saggiatore, Milano
Castellcci C., Castellucci R. (1992): Il teatro della Societas Raffaello Sanzio: dal teatro iconoclasta alla super-icona, Ubulibri, Milano


Sitografia

Belpoliti M. (2011): J&B
Marelli M. (2017): L’epifania privata dello sguardo, «Il Manifesto»




Titolo:
Ethica. Natura e origine della mente

Ideazione e Regia:
Romeo Castellucci

Testo:
Claudia Castellucci
Suono:
Scott Gibbons
Con:
Silvia Costa, Diletta Bindi, Moira Dalant, Sara dal Corso, Gloria Dorliguzzo, Valentina Parravicini, Anna Trotter e un cane
Voce registrata:
Bernardo Bruno
Sculture:
Istvan Zimmermann & Giovanna Amoroso
Produzione:
Societas, in coproduzione con il Théâtre de Gennevilliers - Centre dramatique national de création contemporaine
Debutto:
Venezia per La Biennale College - Teatro nell’agosto 2013

Visto il 25 giugno 2017 al Teatro dell’Arte