alt«Sotto molti punti di vista», scrive Gian Piero Brunetta, «Ferreri è il regista italiano contemporaneo […] la cui opera è iscrivibile con più continuità nella fantascienza […]. Ed è anche il solo a ritenere che la nostra vita faccia ormai parte del futuro» (Brunetta 2006, p. 236). Uno dei suoi film, del resto, si chiama Il futuro è donna, mentre Marco Ferreri: il regista che venne dal futuro è il titolo di un documentario del 2007 di Mario Canale che ne costruisce un ritratto attraverso testimonianze di chi lo ha conosciuto, attori e collaboratori; attraverso immagini dal set e dintorni che lo intercettano e raccontano, lo ascoltano.

2017. Qui a Uzak ci siamo accorti che un piccolo omaggio a Ferreri era importante farlo. Per noi, prima di tutto. È vero, è morto il 9 maggio 1997, vent’anni fa, e anniversari di questo tipo generano spesso automatismi: rassegne, pubblicazioni, approfondimenti, riesami diventano quasi prassi. Sicuramente anche questo nostro speciale è figlio di certi meccanismi, e sappiamo bene che su questo grande, complesso, anomalo cineasta sono state scritte cose dense e rivelatrici (Adriano Aprà, Maurizio Grande, Stefania Parigi, Tullio Masoni…); ma è anche vero che provare a tornare a lui, scrivere di lui oggi significa farlo dal futuro.

Tanto più se consideriamo, che tra redattori e collaboratori, qui una grossa parte della rivista, per ragioni anagrafiche, ha potuto scoprire o iniziare a conoscere il suo cinema soltanto dopo, negli anni Duemila. Insomma, la nostra è una scelta, quasi un esperimento in un certo senso, un metterci alla prova, anche il tentativo, magari, di comprendere meglio cosa siamo. Perché sappiamo che se amiamo il cinema è anche grazie a lui, e forse non abbiamo mai avuto modo di dircelo prima; se Uzak esiste, è anche perché c’è stato chi come Ferreri ha inventato altre visioni. E le sue – certo, non solo le sue –, come dice Roberto Silvestri (Rossanda – Ciotta – Silvestri 2013, p. 95), hanno dovuto fare i conti anche con la censura e il “buon senso”. Con il pudore del comune sentire, i tribunali, i produttori: basti pensare, ad esempio, a Una storia moderna: l’ape regina e a L’uomo dei cinque palloni/Break-Up.

Visioni: un regista, scrive Masoni, alla «continua prova del vedere. Il vedere viene sempre prima dell’ideologia nel suo cinema, o a questa si sovrappone con una immediatezza analitica che ha talvolta del prodigioso» (Masoni 1998, p. 12). Vedere. Era il tempo di Dillinger è morto, e Enzo Ungari osservava: «Ferreri ha appreso la lezione di Rossellini nel senso che non forza la realtà per piegarla all’idea che egli ne ha in precedenza: mostrare non significa di-mostrare ma suggerire, vedere venire le cose. La differenza semmai sta nel fatto che per Ferreri vedere venire le cose significa stare loro addosso, imprigionarle implacabilmente nella lunghezza dei suoi piani, lasciarle uscire soltanto per poterle controllare poi più saldamente, non dare loro tregua» (Marco Ferreri e lo spazio della malinconia in Ungari 1978, p. 59).

altSuggerire. Vedere venire le cose. È quello che, su un piano diverso, da un altro spazio e tempo, da un’altra scrittura, abbiamo tentato di fare con questo speciale, è quello che intendiamo per critica. In particolare, qui, con i contributi di Alessandro Cappabianca, Mariangela Sansone, Alessia Astorri e Andrea Bruni, scritture e generazioni, esperienze differenti, abbiamo provato a vedere Ferreri e il suo stile, i suoi mondi, in un percorso che si è costruito quasi da sé, autonomamente, tra un dentro e fuori le cose – alcune, ovviamente – del suo cinema.

«Mi ha fregato fare il cinema!». Così rispondeva il regista in una meravigliosa, surreale intervista dalla Mostra del cinema di Venezia 1992 sotto il fuoco di un implacabile e sereno Marzullo (la trovate su YouTube divisa in tre parti). E allora, scrivere dal domani significa voler ritrovare, in fondo, altre straordinarie fregature; significa soprattutto provare a tornare, e a verificare, quello che Ungari – ancora intorno a Dillinger è morto – scriveva quasi cinquant’anni fa: «Se le cose esistevano prima delle parole, esse sono veramente tali dopo il cinema. Il cinema infatti inventa nuovi procedimenti di organizzazione delle cose e da questo nasce la sua esibizione, il suo essere cinema. Quindi non è affatto inumano concludere dicendo che il cinema è più importante delle cose e che i film sono più importanti degli uomini. […] allora le cose vere dobbiamo accontentarci, per ora, di incontrarle nel dolce affascinamento del cinema» (Ibidem).

Ed è qui, senz’altro, che continuiamo a incontrare ancora oggi Ferreri, nonostante le sue e le nostre crisi, apocalissi, fini del mondo, nonostante il tempo finito per sempre nel futuro. Perché, nonostante tutto questo, chissà, forse aveva ragione Tullio Kezich già nel 1963, quando, scrivendo dell’Ape Regina, commentava: «Fu Umberto Saba a scrivere che l’umorismo è la forma suprema della bontà; anche il cattivissimo Ferreri sembra tendere, ridendo amaro, a un mondo migliore» (Kezich 1963, p. 24). E noi, ancora qui, restiamo dall’altra parte dal cinema, al termine del Nitrato d’argento, a chiedere asilo per un altro po’.


Bibliografia

Brunetta G. P. (2006): Cent’anni di cinema italiano, II, Laterza, Roma-Bari.

Rossanda R. – Ciotta M. – Silvestri R. (2013): Il film del secolo, Bompiani, Milano.

Masoni T. (1998): Marco Ferreri, Gremese, Roma.

Ungari E. (1978): Schermo delle mie brame, Vallecchi, Firenze.

Kezich T. (1963): Tre film maledetti, in «Sipario», 204, aprile 1963, Roma.


Filmografia di Marco Ferreri

Dillinger è morto (1969)

Il futuro è donna (1984)

L’uomo dei cinque palloni (Break up) (1968)

Nitrato d’argento (1996)

Una storia moderna: l’ape regina (1963)


Filmografia

Marco Ferreri, il regista che venne dal futuro
(Mario Canale 2007)