The fortunes creates at Bordeaux, at Nantes, by the slave trade,
gave to the bourgeoisie that pride which needed liberty
and contributed to human emancipation.
J. J.



Creatura di una civiltà sottomarina superiore, il drexciyan, al di là di ogni possibile identificazione, incarna l’immaginario virulento di una figura aliena che sopravvive e come un virus ripopola la nostra immaginazione: venire a contatto significa esporre l’altro a una influenza estranea, comunicare, esercitare una forma di controllo. Così come spiega Gilroy in Black Atlantic: «la questione del terrore razziale resta in evidenza quando questi modernismi [neri] sono discussi, perché la prossimità immaginativa al terrore resta la loro esperienza fondativa […] I terrori della schiavitù non sono inesprimibili, il topos dell’indicibilità prodotto dal terrore razziale sperimentato dagli schiavi durante la schiavitù, può essere utilizzato per sfidare le concezioni dominanti del linguaggio e della scrittura» (Gilroy 1993), le concezioni politiche del sentire. E per Henderson, così come per Walcott, il mare è questa creatura fluida e mutante, qualcosa che avvicina il vivo al defunto, una raccolta salina di contagi ed esili permanenti; senza memorie, tombe né monumenti, esso è un fantasma, un alieno, lo spettro stesso della schiavitù. Resiste alle lingue coloniali, ai monumentalismi, ai trionfi, e ci forza al suo interno sonoro, verso una tribalità sintetica senza nome né storia, poiché è esso stesso storia. Akomfrah spiega come la necrofilia e l’ossessione col passato siano il cuore del black filmmaking, così come l’immaginario dell’alieno futuro, di una creatura che respiri a mezz’aria tra vita e morte, sia stato alla base di diverse ricerche musicali nere a partire dai Cinquanta, una tattica di confusione e riprogrammazione dell’intera matrice binaria della differenza. L’alieno, il mostro, infesta e riprogramma i confini della storiografia e i pattern di significazione e identificazione dell’altro. Un travestimento di una pre-modernità attivamente (re)immaginata nel presente e poi trasmessa in modo intermittente dal passato tramite impulsi (cfr. Gilroy).

L’installazione A Ship Called Jesus (1991) di Piper ci ricorda qualcosa si simile: le acque presenti nel lavoro, così come sostiene Baucom, non sono semplicemente il riflesso di un agonizzante corpo nero, ma ci spingono al loro interno, ci forzano per occupare, anche solo per un momento, il loro spazio sottomarino. Similmente, in Coral Cities (2007), Gallagher immagina il Black Atlantic come un mitologico mondo acquatico abitato dai discendenti di schiave gettate in mare durante il passaggio; torna il mito femminino e pre-edipico del drexciyan anche in Watery Ecstatic (2003), una sorta di psico-spazio prenatale, un apparato psichico, un incontro femminino, una matriciale zona psichica, una sfera per processare il trauma arcaico, spiega Griselda Pollock. Il mutabile e frammentario regno acquatico è il nuovo spazio occupato. The Sea is History (2016) riscrive questa cartografia di spazi invisibili, queste presenze senza testimoni; una raccolta di trofei, reperti etnografici, di museificazioni e capitalizzazioni dell’altro, e monumenti, colonizzazioni, deportazioni... Nel 1840 J. M. W. Turner dipingeva Slave Ship (Slavers Throwing Overboard the Dead Dying, Typhoon Coming On) raffigurando l’uccisione di 132 schiavi gettati in mare dalla Zong nel 1781; anche qui l’immaginario necrotico di corpi consegnati alle profondità marine è qualcosa di nudamente eterno, l’idea di una carne che si converte in oro, un sublime mortifero e terrificante: «il mare diviene il testimone, il carnefice, la vittima e la tomba […] e il sangue diffuso in mare e nella luce, riemerge come una significazione della colpa, della furia e dell’enorme tristezza della schiavitù» (Wood 2000, pp. 63-67) «i corpi neri in catene rappresentano il potere del lavoro frutto dalla sanguinosa tratta degli schiavi. Il lavoro obbligatorio è la chiave della prosperità anglosassone, e Turner ricorda il sacrificio fatto dagli schiavi, il loro contributo al benessere inglese, l’influenza e le continue morti di schiavi africani nel mid-Atlantic» (Rice 2003, p. 71).

In Black Code/Code Noir (2015), assieme ai recenti omicidi di Michael Brown (2014) e Kajieme Powell (2014) in Missouri, Henderson evoca i codici neri del 1685 e del 1865. Il riutilizzo di registrazioni di fortuna caricate su Youtube, memoriali e ricostruzioni scientifiche dei recenti omicidi per mano della polizia, stanno qui a ricordarci come l’algoritmo archeologico del controllo sia stato nei secoli evidentemente sempre lo stesso. Henderson si chiede cosa accade quando questa linea algoritmica disciplinare è valicata, quando un gesto, un comportamento, un rapporto ordinato, eccedono la norma; quando un tracciato, una zona, disegnano nuovi confini di desiderio, il cosiddetto controllo necropolitico si riattiva punitivo. È possibile hackerare questo circuito? Queste linee geometriche urbane destinate al controllo dei corpi? Internet è la nuova archeologia desiderante entro cui ricodificare memorie, controllare dati, disciplinare corpi. La costruzione stessa del sapere e del desiderio avviene secondo una certa disposizione spaziale, così come l’idea stessa di spazio è regime, l’urbano della città è un’organizzazione per la condotta delle anime, qualcosa che ha a che vedere col correggere, con dei codici, con l’addestramento, col rendere docile un corpo. Ma se a cessare sarebbe lo spettacolo del supplizio, se le pratiche punitive sono divenute pudiche, se davvero dalla prima metà dell’Ottocento si è tentato di toccare il meno possibile un corpo, ci si chiede cosa sia una deportazione, una interdizione, una prigionia, se non una pena altrettanto fisica come la gogna. Ma il corpo sì, è qui solo veicolo di una sospensione, il dolore non è più l’oggetto, si tratta di un privare senza far soffrire; l’esecuzione di Brown tocca la vita, non il corpo. Priva di una libertà, dura un istante: tra la legge e un corpo criminale, il contatto è ridotto a un lampo (cfr. Foucault).


Bibliografia

Foucault M. (1993): Sorvegliare e Punire, Einaudi, Torino.

Gilroy P. (1993): The Black Atlantic: Modernity and Double Consciousness, Verso, London, NY.

Pollock G. (2013): Visual Politics of Psychoanalysis: Art and the Image in Post-Traumatic Cultures, I. B. Tauris, London, NY.

Rice A. (2003): Radical Narrative of the Black Atlantic, Continuum, London, NY.

Wood M. (2000): Blind memory: visual representations of slavery in England and America, 1780-1865, Manchester University Press, Manchester.


Filmografia di Louis Henderson

Black Code/Code Noir
(2015)

The Sea is History (2016)