altLe cose significative del 2016 da serbare, ricordare. Un'operazione non feticistica, almeno nel nostro caso, quanto invece di iniziazione del nuovo anno, del prosieguo: incentivo alla continuazione, in esistenze di scritture, ripensamenti, invenzioni. Se si pensa alla materia-cinema che si dibatte tra spazio e tempo, forze e forme, realtà e reale, allora si può considerare, magari, l'ultimo Serra (una delle visioni più folgoranti degli ultimi tempi) in stretta relazione e continuazione, mettiamo, a Cemetery of Splendour dell'anno scorso, cioè a quelle forze, io direi “quello spazio”, che attendono, brulicano sul fondo del quadro e si pongono problematicamente rispetto alla possibilità di divenire forme.

 

E allora c'entrano il Lav Diaz di The Woman Who Left e Monte di Naderi, come contrappunto formale, formato (la città, le strade chiaroscurali, le persone così definite, il monte, il martello, il diagramma dei colpi ostinati, gli stessi di Cut; la stessa irriducibilità del Corridore) rispetto all'astrazione psichedelica, metempsicotica di Serra e Weerasethakul, che sembra fagocitare ogni sagoma dentro il sibilare dei blocchi di spazio-tempo, e arrivare così alla ragione stessa dell'immagine in movimento.

Non si tratta di scegliere, preferire, esercitare quell'abominio che è il gusto (cioè il giudizio praticato secondo l'apparato cristianologico, positivista, utilitarista, ecc., cioè quella che è un'ignoranza “di formazione” che assedia, nel peggiore dei casi, l'io “cresciuto”); si tratta di dare spazio a diverse, complementari visioni delle cose, anzi della cosa ultima, che sta sempre nel mezzo, sta sempre di mezzo, si dibatte appunto tra gli enti.

L'importante è il pathos; che ci sia suggestione nell'incontro con l'opera, che a sua volta ha incontrato l'oggetto, la cosa; e che questo pathos vada oltre il pensiero ricognitivo, il congegno di archiviazione, e apra la via a ciò che c'è ancora da pensare. Quindi non si tratta di collezionare titoli, di fare un'epitome d'erudizione o di accumulo feticistico: si tratta di proiettarsi nella vita, in quello che Derrida chiama l'a-venire, attraverso il pathos teorico dell'opera, che in questo caso (e nel migliori dei casi) non è specificamente cinematografica, e dà spazio al pensiero sempre nuovo, a tutta una costellazione di cose che vanno pensate, trasfigurate e così viste finalmente nella loro essenza.

Di Derrida nel 2016 Jaka Book ha pubblicato Pensare al non vedere: la teoria per cui ogni immagine è non presenza, ma sempre rinvio, dilazione, «in una vita che si proietta anticipando il proprio sopravvivere». Il tempo considerato allora fuori dai principi e dai moduli di archiviazione dati, e piuttosto in un teorema di anticipata sedimentazione di cose passate, purché dialettiche, che fanno uno spazio e un tempo di coalescenza, quindi politico (a proposito rimando all'articolo su The OA).

Così come politico infondo è il presupposto del libro di Fabio Vittorini (e delle letterature comparate), Narrativa USA 1984-2014 (il cui sottotitolo recita romanzi, film, graphic novel, serie tv, videogames e altro), nella misura di un'uscita dallo specialismo (in questo caso letterario) in favore di quella congerie di “concetti-in-storie” che danno un referto progressivamente evenemenziale del tempo, al di là di ogni statica, anacronistica filosofia della storia. Un romanzo: La scala di ferro di Simenon, ritradotto per Adelphi: la Parigi crepuscolare degli anni 50, le psicologie, l'abbandono allo spleen.

E solo qualche disco imprescindibile: il progetto parallelo di Nils Frahm, quello dei Nonkeen, Oddments of the Gamble, un disco in bilico tra jazz, rock, neoclassica, anche tratti dadaici che però si fanno subito seri e lirici in ambientazioni elettroniche. Lo shoegaze degli Early Years, tornati dopo dieci anni con una cosa ibrida, II che guarda al kraut, alla new wave, ovviamente all'elettronica, ineffabile terreno di realizzazione di poesia contemporanea (nella versione musicale di motivi, ritornelli, rif: e qui i Death in Vegas, con Transmission, si spingono alle soglie della techno, vi sostano godendosi voci femminili sintetiche, progressioni basse, cassa dritta e di velluto, poi vanno oltre; mentre almeno due dischi importanti percorrono la strada problematicamente retro del synth: i SURVIVE con Rr7349 e, in versione “pesante”, i Videodromes di Mondo Ferox). Non sfugge a questo, e all'accavallamento dei generi, neppure il capolavoro dei Tindersticks, The Waiting Room, il cui cuore liquido, come di diamonica, This Fear of Emptiness, è una lontananza, la tragedia del ricordo, la novità di un viaggio che già era stato.