Nicola Curzio

altQualche anno fa, alla Mostra del Cinema di Venezia fu presentato un breve film realizzato interamente con immagini d’archivio. Diviso in segmenti, questo affascinante lavoro di found footage assemblava al suo interno frammenti audiovisivi di diversa natura: filmini di famiglia, cinegiornali, una sequenza di Miracolo a Milano. Quattro voci, mantenute anonime sino ai titoli di coda, ne orientavano il senso generale, lasciando emergere quattro storie accomunate da un desiderio di redenzione. Redemption di Miguel Gomes resta ancora oggi una delle riflessioni più lucide e acute sulla capacità del cinema di riattivare immagini del passato, innestandole in un discorso attuale, nel solco della memoria. Perché dietro quegli atti di rimembranza e contrizione che il regista lusitano assegna arbitrariamente a personalità “di pubblico dominio”, si cela in realtà la salvezza, il riscatto delle stesse immagini con cui è fatto il film: attraverso un astuto, incantevole stratagemma, esse tornano a brillare di luce propria, assumono una nuova valenza, trovano un’inedita collocazione nello spazio del presente. In altre parole, tornano in vita, o meglio, sopravvivono.


L’idea di un’immagine “redenta”, rimessa al mondo e riattualizzata, non è di certo una novità nella storia del cinema e dell’arte in generale. In un’epoca come la nostra, al contrario, è un fatto largamente diffuso e favorito dalla piena accessibilità e manipolabilità degli archivi audiovisivi. Non sempre però questo fenomeno si palesa in maniera chiara o univoca, e così diventa ancor più difficile definirne i contorni, comprenderne la portata, riconoscerne gli effetti. Occorre rendersi conto che oggi, forse ancor più di ieri, «le immagini si riproducono, al di là di parentele di genere e stile, molto spesso indipendentemente dalla volontà dei loro autori. Qualcosa passa da un’immagine all’altra, da un’epoca all’altra, da un apparato all’altro, fino a smarginare i cardini della rappresentazione mediatica e condizionare le posture individuali, le pratiche sociali, le forme dello stare al mondo» (Zucconi 2013, p. 21).

La sopravvivenza delle immagini nel cinema. Archivio, montaggio, intermedialità di Francesco Zucconi – da cui è tratta la citazione – è un pregevole studio sull’argomento, pubblicato da Mimesis Edizioni nel 2013. Sebbene siano trascorsi tre anni dalla sua comparsa in libreria, vale la pena riproporre questo libro all’attenzione dei lettori perché si tratta di un lavoro di rara meticolosità e chiarezza che offre solide basi teoriche ed eccellenti strumenti cognitivi per comprendere e approfondire un ruolo cardine assunto dal cinema nell’orizzonte estetico e mediatico contemporaneo.

altL’autore1 costruisce il suo discorso alternando momenti squisitamente teorici all’analisi di pellicole cinematografiche (si va da Sokurov a Herzog, da Godard a Moretti), rapportandosi spesso con le idee di alcuni grandi pensatori del secolo scorso. Tra questi, merita una menzione particolare Aby Warburg, i cui esperimenti sulla memoria delle immagini costituiscono il punto di partenza per la ricerca condotta da Zucconi. Nelle ultime pagine del libro sono anche riprodotte le tavole citate del Bilderatlas Mnemosyne, il celebre progetto-dispositivo con cui lo studioso tedesco raggruppò centinaia di immagini appartenenti a luoghi, ambiti ed epoche diverse, rilevando legami di parentela, rimandi interni ed eterni ritorni tra le stesse. Un’operazione di montaggio, incompiuta e aperta per definizione, una pratica comparativa e riflessiva che il cinema ha la capacità di sviluppare e aggiornare. Come lo stesso autore chiarisce fin dalla premessa, infatti, il suo lavoro «individua nel cinema un oggetto esemplare per comprendere la logica della riproduzione delle immagini e per riflettere criticamente sulle condizioni del loro utilizzo» (ivi, p. 11). Lungi dall’essere una rappresentazione del “reale”, qui il film è inteso piuttosto come «uno spazio del pensiero nel quale si confrontano forme espressive diverse, si ripensano le immagini del passato e si rigenerano i materiali “usurati” della cultura» (ibidem). Articolato in tre parti, il lavoro di Zucconi è dunque teso ad «affermare l’idea che il cinema, la più “giovane” delle arti, abbia la facoltà di mettere in movimento l’archivio delle forme culturali per valutarne di volta in volta le condizioni d’uso in relazione ai regimi di rappresentazione che caratterizzano la contemporaneità: dal panorama artistico alla sfera mass-mediatica» (ivi, p. 30).

L’autore fonda la sua ricerca sul concetto di archivio, chiarendo fin da subito che quest’ultimo non va inteso in senso comune, come un deposito di materiali storici, ma «è piuttosto la misura discorsiva, è la stratificazione delle forme di comprensione del reale che si sono espresse e si esprimono, aggiornandosi continuamente, all’interno delle rappresentazioni sociali» (ivi, p. 27). La nozione di archivio, che da Michel Foucault in poi ha conosciuto una speciale e problematica fioritura, è dunque riletta e adattata alla luce del mezzo cinematografico, che ha la straordinaria capacità di incorporare e rielaborare testi, dipinti, filmati, fotografie, suoni e ogni altro elemento facente parte del database della cultura. Il cinema, in altre parole, è un apparato che ri-media immagini e forme del passato.

Non solo; recuperando un pensiero di Pietro Montani, Zucconi introduce nel suo discorso la nozione di intermedialità evidenziando come il cinema, nell’atto stesso di ri-mediare, abbia il potere di mostrare allo spettatore questo processo, coinvolgendolo in un’azione di comparazione critica che produce senso. Per usare le parole dello stesso Montani, citate dall’autore: «Le immagini prodotte da un medium (la televisione, la videocamera leggera) vengono qui integrate in un altro (il cinema) in una prospettiva che vuol essere critica. […] Si tratta infatti di richiamare l’attenzione di chi osserva non solo sulle immagini, ma anche sul modo in cui qualcuno ce le sta presentando. Colui che mostra, in altri termini, si coinvolge, riflessivamente, nell’atto del mostrare, e ci dice qualcosa di sé, ci fa partecipi di un suo giudizio. […] L’osservatore, insomma, viene invitato a effettuare un lavoro di comparazione tra le diverse forme dell’immagine audiovisiva2» (Montani in ivi, pp. 26-27).

Il coinvolgimento attivo di chi guarda, la possibilità cioè che questi non sia un mero fruitore, ma che al contrario assuma un ruolo critico sulle immagini e sul mondo, è in ultima analisi la prerogativa che il cinema può assurgere nel complesso panorama estetico e mediatico contemporaneo. In un’epoca caratterizzata dalla piena disponibilità e manipolabilità delle immagini, le lezioni di montaggio offerte da grandi maestri come Godard o Herzog si pongono come un efficace strumento per riconoscere e decostruire quelle rigide impalcature di senso in cui siamo sempre più surrettiziamente costretti dal sistema dell’informazione e dell’entertainment. Per utilizzare ancora le parole dell’autore: «anziché coltivare la fiducia di agganciare per tramite delle immagini una realtà data in sé, si è compreso come una serie di pratiche e strategie di rimediazione costituiscano un’occasione per riflettere sulle forme attraverso le quali i discorsi e i protocolli sociali mediano, orientano e costruiscano di volta in volta l’immagine del reale esperita e condivisa» (ivi, p. 240).

Come non manca di rivelare lo stesso Zucconi, il corpus di opere da lui preso in considerazione resta, per tali ragioni, necessariamente aperto. Curiosamente, è proprio nel 2013, anno di pubblicazione di questo libro, che a sua volta Miguel Gomes presenta alla Mostra del Cinema di Venezia Redemption: altro grande esempio di cinema intermediale, capolavoro breve che ha l’incredibile potere, da un lato, come si diceva in apertura, di riportare in vita immagini del passato, immettendole in un discorso presente e attuale, dall’altro, di riattivare su di esse e a partire da esse lo sguardo dello spettatore, sottraendolo alla condizione anestetizzata di cui è spesso vittima. Più che di immagini redente, si potrebbe allora parlare di redenzione dello sguardo: uno sguardo più lucido e consapevole che può finalmente tornare a posarsi libero sul mondo.


Note

1. Francesco Zucconi si è specializzato in semiotica, estetica e teorie dell’immagine presso la scuola di dottorato in “Studi sulla rappresentazione visiva” dell’Istituto Italiano di Scienze Umane. Al momento è Marie Skłodowska-Curie Postdoctoral Fellow presso il Centre d’Histoire et de Théorie des Arts, dell’École des Hautes Études en Sciences Sociales (EHESS) di Parigi.

2. Corsivo di Francesco Zucconi.


Bibliografia

Montani P. (2010): L’immaginazione intermediale. Perlustrare, rifigurare, testimoniare il mondo visibile, Laterza, Bari.

Zucconi F. (2013): La sopravvivenza delle immagini nel cinema. Archivio, montaggio, intermedialità, Mimesis Edizioni, Milano – Udine.


Filmografia

Miracolo a Milano (Vittorio De Sica 1951)

Redemption (Miguel Gomes 2013)