Luca Romano

altCos’è la didascalia? Didáskalos era colui che aveva il compito di istruire il coro nelle tragedie greche. Il suo compito era lavorare a margine, sul modello del maestro (la cui radice è la medesima) forniva lo strumento verbale, ma non solo, a chi doveva svolgere un atto artistico.


Con il tempo e nei vari passaggi storici la didascalia è diventata per lo più scritta, nei testi teatrali, attraverso i quali lo scrittore appuntava comportamenti, consigli, modalità di trasformazione dalla forma scritta alla forma orale e recitata. Talvolta la didascalia era minore perché lo scrittore compiva un vero e proprio atto registico (lì dove la regia non era ancora formalizzata) trasformando la didascalia scritta in una istruzione orale.

In entrambi i casi la didascalia era il passaggio, lo strumento di trasformazione, dall’idea dell’autore alla messa in pratica. Con la fotografia la didascalia, diventata definitivamente solo testuale, è scesa a margine della foto, con una breve indicazione sul luogo e data con qualche altra piccola informazione. Tuttavia spesso capita, soprattutto in questi ultimi mesi con l’aumento degli atti terroristici, di doversi ritrovare a guardare fotografie di altri eventi, spacciate per aggiornamenti in tempo reale. Foto che mostrano luoghi per lo più sconosciuti a tutti, con esplosioni, morti, gente che magari sta scappando. Fotografie eternamente replicabili, diventate stereotipo, non più collegate a nessun contesto, ma ad un immaginario.
In questo senso la didascalia rompe l’immaginario (che, in effetti, di per sé è già definitivamente saltato frammentandosi) e riporta l’universale al particolare. La connessione didascalica è appunto connessione.

Nonostante con didascalico ormai, nel linguaggio comune, si intenda esemplificativo, esplicativo, la didascalia è tutt’altro che una spiegazione che semplifica l’opera d’arte al fruitore ignaro. Esempio ne è La Trahison des images di Magritte, il quale ha utilizzato la didascalia come strumento stesso dell’opera d’arte, riportando il testo all’interno del quadro. In questo caso, come in molti altri esempi meno noti, la didascalia tende a complicare la visione dell’opera, rimanda ad altro, rimanda al simbolico, alla complessità dell’interpretazione della parola stessa, in definitiva apre l’opera d’arte. Esempio ancora più grande è la firma di Van Gogh nella sua opera Un paio di scarpe, analizzata da Heidegger e Derrida. La firma stessa pone un problema strutturale nell’opera, riportando quelle scarpe su un piano di appropriazione che non finisce ad un contadino o ad un uomo di città, ma all’artista stesso.

Altro strumento didascalico è il meme. Il testo diventa parte dominante dell’immagine, ma essendo didascalia, è anche al di fuori dell’immagine, necessita un transitività che rappresenta l’esterno all’interno della foto. Il rapporto interno(esaustivo)-esterno inizia a gettare le basi sulla prospettiva dioramatica di soggetto come rappresentante del mondo intero al di fuori della temporalità. Ma rimanendo ancora sul meme è necessario costruire la sua specificità nella viralità. Il meme ha la necessità del testo per poter essere compreso e condiviso, riprodotto infinitamente all’interno di uno spazio che diventa in questo modo chiuso in sé, pur comprendendo tutto.

altUlteriore passaggio sulla didascalia, così intesa, come strumento di apertura, di lavorazione della determinatezza in funzione dell’indeterminatezza irraggiungibile, è Diorama di Marco Magurno, pubblicato da Il Saggiatore nel 2016, che ribalta la forma scritta del libro in una forma di didascalia in grado di interlacciare fili di un ponte tra i social e la carta, ma in definitiva sul rapporto tra l’uomo e il contemporaneo.

In questo senso gli algoritmi con i quali funziona il web fondano il presupposto di diffusione e di creazione del meme stesso (e ovviamente non solo). Questo meccanismo, creato da umani, ambisce ad essere impersonale, rendendo di fatto il didascalico, lì dove era una direttiva artistica dal creatore all’esecutore, il perpetuarsi dell’algoritmo all’interno dell’immagine. Il meccanismo diventa la parte dominante della creazione, oltre che strumento unico della sua diffusione.

In questo Diorama è eccezione. La trasposizione su carta di meme, e non solo, riporta la didascalia al suo ruolo esplicativo ed esortativo. Si intrecciano i percorsi elaborando e mostrando il ruolo dell’impersonale nella diffusione algoritmica del contenuto. È il contenuto stesso che si fa carico dell’impersonale e porta avanti la modalità “meccanismo” come strumento al quale è l’uomo a doversi adeguare, non viceversa.

Un lavoro simile, sul testuale, viene compiuto da J.-L. Godard con Adieu au langage – a tal proposito ne scrive molto bene Michele Sardone su «Logoi» (p. 209) – nel quale a partire dal titolo, il regista francese apre le immagini scomponendole utilizzando il 3D. Godard sovrappone in due immagini distinte, si potrebbe dire una didascalia dell’altra, costringendo lo sguardo all’incapacità di sintetizzare ciò che la macchina invece è in grado di sintetizzare. Lo sguardo della macchina diventa superiore rispetto a quello umano, ribaltandone il rapporto di primarietà.
In questo modo il ribaltamento compiuto da Diorama riporta il soggetto umano al centro rompendo il rapporto tra internet (la rete, il web, i social) e il contenuto prodotto. Il ruolo della didascalia ritorna ad essere funzionale all’apertura moltiplicando i contenuti e stratificandone la percezione. Ma è sul tempo che si sposta l’attenzione. Con Godard avviene l’inversione tra uomo e meccanismo, riportando il meccanismo a livelli di comprensione ai quali l’uomo non è in grado di arrivare attraverso i suoi sensi, in questo si delinea un rapporto tra l’umano e il contemporaneo di tipo differente. In Diorama, Magurno compie una operazione assimilabile e per semplificarne la comprensione basta estrapolare una delle sezioni – ovviamente non è l’unica, ma è esemplificativa – come ad esempio quella sul Pornodiorama, nella quale Magurno scrive:

Le immagini che seguono sono tratte da zone di consumo pornografico del Diorama, e contengono molteplicità di corpi inorganici, del tutto inconcepibili, e quindi concepiti, al di fuori di tale spazio. Esse offrono testimonianza dell’utilizzo di materiali, oggetti, e dispositivi quali: latex, PVC, lycra, spandex, cotone, lana, fibre metalliche, sostanze sintetiche, guaine, travestimenti incongrui, zentai, tute di acrilico ecc. Tali immagini compongono il panorama di una sessualità non più umana, ma sicuramente dioramatica, emblema della transumanza delle specie nel futuro: questo è il sesso nel Diorama. (p. 291)

Ad una prima lettura vengono in mente i rapporti sessuali in Tetsuo: The Iron Man di Shinya Tsukamoto. La trasumanza di cui parla Magurno è nel desiderio sessuale riversato sul feticcio post-umano o non ancora umano, di un umano altro. L’oggetto del desiderio diventa l’inanimato di cui l’umano è parte. La sessualità nell’era della riproduzione tecnica è futuribile.

Così come affrontare i film di Godard e Tsukamoto risulta essere sempre inesaustivo, nella stessa maniera chiudere il discorso risulta essere impossibile perché la struttura del libro impone una fine, mentre il tema trattato impone di continuare a guardare immagini, porsi al di fuori del sistema, impone di sfruttare la didascalia per uscire dall’immagine, impone di non concludere il testo, ma di continuare a leggerlo altrove e in altre forme.


Bibliografia

Magurno M. (2016): Diorama, Il Saggiatore, Milano


Sitografia

Sardone M. (2015): Adieu au langage di Jean-Luc Godard, in Logoi.ph, I, 1


Filmografia

Adieu au langage (Jean-Luc Godard 2014)
Tetsuo: The Iron Man (Shinya Tsukamoto 1989)