Leonardo Gregorio

altHa 14 anni, è il 1917, quando si imbatte in Civiltà di Reginald Barker , Ramond B. West e Thomas H. Ince. «Aveva un grosso budget per l’epoca ed era davvero stupendo. Mi impressionò profondamente. Fu proprio in quel momento che mi dissi che volevo diventare un regista» (p. 24). Yasujirō Ozu (1903-1963), il ragazzo che scopre, di nascosto, trasgredendo le regole, il cinema quando le sale non si chiamano ancora così ma «baracconi delle immagini in movimento» (p. 23); adolescente che a quel tempo disprezza, snobba i film del suo paese e ama solo quelli occidentali, che sceglie di diventare chi sarà, nonostante le diverse aspirazioni dei suoi genitori e la generale diffidenza all’epoca per i sognatori di cinema. Ma questo è solo un frammento, prezioso, di un percorso tra pagine che ci donano il privilegio di perderci, di immaginare, di cavalcare il tempo, dentro la vita e fuori del grande regista giapponese, dentro e fuori la sua arte. Così da renderci partecipi anche di uno strano e dolce inatteso, di piccole grandi meraviglie che si aggirano tra quello che già sapevamo, credevamo di sapere o potevamo solo ipotizzare.


Questi Scritti sul cinema (Donzelli), a cura di Franco Picollo e Hiromi Yagi, sulla base del grandissimo lavoro di studio e ricerca fatto da Tanaka Masasumi sull’opera di Ozu, sono, infatti, – come scrive Dario Tomasi nella prefazione – «una miniera di osservazioni in grado di aiutarci a entrare davvero nel mistero dell’opera di uno dei più originali registi che l’Asia e la storia del cinema ci abbiano mai dato» (p. X). Una vasta selezione di scritti del maestro, regista di 54 film, e delle interviste che ne hanno intercettato parole e pensieri, riflessioni profonde, ma sempre espresse in modo terso, in un arco di tempo situato tra il 1931 e il 1962. Un volume fondamentale, una rivelazione, se si pensa che – citando ancora Tomasi – «non è possibile dire che Ozu abbia accompagnato la sua opera con un’organica riflessione teorica su di essa. I suoi scritti sul cinema sembrano essere piuttosto occasionali, estemporanei, nati probabilmente da sollecitazioni esterne (una richiesta da parte di una rivista o quella di un amico), spesso limitati a poche pagine» (ibidem).

Ecco perché diventa ancora più importante questo libro, strutturato in quattro parti che necessariamente dialogano tra loro: Chiacchiere sul mio mestiere, Qualche parola sui miei film, Vado un attimo in guerra e torno, Un’arte ricca di varietà. Ozu che ricostruisce i suoi inizi, il cinema muto, l’esperienza essenziale da assistente operatore e le notti insonni a lavorare, le prime sceneggiature, i commenti sui suoi singoli film, quelli ormai perduti e quelli che neanche ricorda di aver realizzato, quelli che hanno indicato svolte e maggiore maturità., E così, inevitabilmente, accanto a, tra gli altri, Sono nato, ma…, Capriccio passeggero, Fratelli e sorelle della famiglia Toda, C’era un padre, Tarda primavera e Tardo autunno, Il sapore del riso al tè verde, Viaggio a Tokyo e Il gusto del sakè, anche alcune linee di storia del cinema, gli annessi mutamenti tecnologici, industriali e artistici scorrono di riflesso. L’ammirazione per John Ford, William Wyler, Charlie Chaplin ed Ernst Lubitsch; i meriti e i conformismi di Hollywood, luci e ombre di divismi americani e giapponesi; limiti e ritardi dell’industria cinematografica nipponica; la diffidenza per la «grammatica del cinema», una questione meccanica e tecnologica più che espressiva a scapito, spesso, di talento e sensibilità personale; la necessità di lavorare più o meno con le stesse persone, tra staff e interpreti, soprattutto per affinità umana prima ancora che artistica; il cinema e la fotografia; il cinema e la letteratura; il sonoro e il colore; il passato e il presente del cinema di casa; gli attori e i personaggi; finzione e documentario. Un regista in grado di cogliere con una sensibilità rarissima il quotidiano e l’invisibile, sentimenti e sfumature tra uomo e donna, tra genitori e figli, senza essersi mai sposato e senza essere padre, vivendo con la madre fino alla morte di lei. Il cinema e la vita. Insieme.

Ma più di tutto, forse, le pagine più belle, sono quelle dell’Ozu soldato dell’esercito imperiale, le lettere dal fronte ad amici, tra il 1937 e il 1939, durante la guerra tra Giappone e Cina, mentre si allontanerà di nuovo da casa nel 1943, per Singapore, nell’ambito del secondo conflitto mondiale, ma sarà un’esperienza per lui più agevole (sebbene il progetto di un film per l’esercitò si arenerà). I momenti di fatica estrema, di paura e di fame, la crudeltà e la morte, ma anche le piccole e inaspettate bellezze in mezzo all’indifferenza dell’orrore: un bambino cinese che gioca senza sapere cosa è la morte; la natura e il cielo, le stagioni. La vita che si ferma e quella che invece continua. L’idea di fare al suo ritorno un film sulla guerra… C’è letteratura in quelle pagine, l’essere ancora vivi, l’umanità, uno strano incanto. Anche lì, da qualche parte, il cinema di Ozu continua a vivere e a rinascere.


Filmografia

C’era un padre (Chichi ariki) (Yasujirō Ozu 1942)

Capriccio passeggero (Dekigokoro) (Yasujirō Ozu 1933)

Civiltà (Civilization) (Reginald Barker – Ramond B. West – Thomas H. Ince 1915)

Fratelli e sorelle della famiglia Toda (Todake no kyôdai) (Yasujirō Ozu 1941)

Il gusto del sakè (Sanma no aji) (Yasujirō Ozu 1962)

Il sapore del riso al tè verde (Ochazuke no aji) (Yasujirō Ozu 1952)

Sono nato, ma… (Otona no miru ehon - Umarete wa mita keredo) (Yasujirō Ozu 1932)

Tarda primavera (Banshun) (Yasujirō Ozu 1949)

Tardo autunno (Akibiyori) (Yasujirō Ozu 1960)

Viaggio a Tokyo (Tôkyô monogatari) (Yasujirō Ozu 1953)

 




Titolo:
Scritti sul cinema

Anno: 2016

Durata: 246 pagine

Genere: SAGGIO

Specifiche tecniche: 26,00 euro

Produzione: Donzelli Editore

Regia: Yasujirō Ozu (a cura di Franco Picollo e Hiromi Yagi. Prefazione di Dario Tomasi)