Raffaele Cavalluzzi

altUna delle componenti della cifra interpretativa di Maps to the Stars (2014) di David Cronenberg (dal romanzo Dead Stars di Bruce Wagner) è il fuoco, il fuoco eterno dell’inferno, l’inferno di Hollywood cinica e corrotta, “una città orripilante”. Havana Segrand (l’eccellente Julianne Moore) è un’attrice che rischia ormai l’età del declino ed è marcia fino all’osso, marcia nei costumi, cinica, arrogante, sfrenatamente egoista nei comportamenti. La sorte vuole che la fase critica della sua carriera coincida con l’idea del remake di un famoso film già interpretato da sua madre trent’anni prima: dopo quel film – con scene che alludono, non a caso, a una vicenda manicomiale della protagonista – la madre di Havana morì in un incendio (l’inferno).


E Havana, frustrata e depressa, che si sottopone a una cura di espulsione somatica del suo male psichico, ma che si dà anche ad orge bisessuali, per la morte fortuita (annegamento in piscina: acqua contro fuoco) del figlioletto della più giovane sua concorrente al nuovo film, finisce col soffiarle la parte (il titolo del film è Acque rubate, tra i più strani di un regista – come Cronenberg? – di “film strani”). Finirà vittima dell’improvviso impulso omicida dell’altra protagonista della pellicola: la giovanissima, poco più che adolescente Agatha Weiss (Mia Wasikowska). Agatha, nell’idolatria del mito hollywoodiano anch’essa, è giunta a Los Angeles in fuga da un ospedale psichiatrico in Florida, in cui era stata ricoverata per aver appiccato un incendio (ancora una volta) mettendo a rischio la vita del suo fratellino Benjie (Evan Bird).

Ora Benjie è un ragazzo-prodigio della serie televisiva, al secondo ciclo, Bad Babysitters, e vive nel mare delle droghe un’adolescenza (comune ai suoi coetanei di spettacoli alla moda) fatta di trasgressività estrema e di incubi, inquietanti allucinazioni frutto delle anfetamine, ma anche delle paure ereditate da quell’evento nefasto della sua famiglia, da cui però il padre, il Dr. Stafford Weiss (John Cusack), aveva ricavato un nome prestigioso di psicoterapeuta, sostenuto da un’avidità e da un narcisismo senza limiti. Benjie, come Havana, vede i morti: il primo, una bambina morta di cancro in ospedale, la seconda, sua madre attrice che la perseguita con un feroce senso di colpa e che le ricorda di continuo gli abusi sessuali del patrigno e l’attuale depravazione (emblematiche due sue frasi: «L’inferno è un mondo senza narcotici», e «vecchio buco consumato che puzza più di me», riferendosi al suo cadavere ovviamente putrefatto).

Agatha, sfigurata nel viso e nel corpo, riesce dal suo canto a farsi assumere come assistente da Havana, conosce Jerome (Robert Pattinson, al suo secondo film con Cronenberg), giovane taxista, ma anche scrittore e aspirante sceneggiatore, e poi irrompe, per ottenere “ammenda”, nella vita della sua famiglia, questa volta sconvolgendola definitivamente. Insultata e strapazzata altezzosamente da Havana che si fa intanto sodomizzare da Jerome, non regge all’umiliante impatto emotivo e l’aggredisce con una statuetta, uccidendola. Nel frattempo l’ossessione di Benjie prende corpo in un bambino che egli percepisce come suo odioso concorrente: lo “vede” trasformato nell’incubo del cadavere che lo perseguita, e, una volta, afferra la sua gola per strangolarlo. Cristina, la disperata madre dei ragazzi che ha incontrato anche Agatha, è al limite dell’angoscia e della sopportazione e si dà fuoco (fuoco purificatore) ai bordi della piscina della lussuosissima villa di famiglia, di fronte all’impotenza di Stafford di bloccare la catastrofe.

Siamo alla fine e il mistero della follia di Agatha si rivela ora interamente. Benjie la incontra e le ricorda, per chiederle conto del suo lontano, disastroso comportamento, l’abitudine, nei loro innocenti giochi di bambini, di sposarsi simulando una vera e propria cerimonia di nozze. Allora, perché l’atto folle della sorella? Agatha gli rivela che aveva scoperto di essere ambedue figli di un involontario incesto tra i loro due genitori: figli impossibili di fratello e sorella. Ora è giunto pertanto il momento di sposarsi davvero con gli anelli consacrati recuperati dai corpi dei genitori, dandosi la morte sotto le stelle del Dragone (maps to the stars, che allude alla costellazione) con un’overdose di droghe come approdo alla libertà. Del resto la parola libertà era il finale di alcuni straordinari versi del poeta Paul Éluard, ripetuti come accorato refrain da Agatha (jungiana bambina magica) nella sua tragica ricerca di liberazione dal terribile tabù: «E per la forza di una parola / Io ricomincio la mia vita / Sono nato per conoscerti / Per nominarti / Libertà».

Come sempre, infine in Cronenberg qui così gotico, tutto ruota intorno al corpo: che brucia, fornica, defeca, e si rimaterializza dal regno della morte.