Matteo Marelli
In un paese dove la meraviglia è vanto
Dove sognando passano i giorni ma non l'incanto
Dove sognando muoion le estati e il loro manto.
(Lewis Carroll)
Larry "Doc" Sportello è un uomo di fumo gettato nel mondo dove si muove con estatica leggerezza; un seducente eroe del nulla, disarmato e inconsapevole, mitemente intemerato1, abbindolato da una visione vespertina, velata di tenebre, in uno stupefacente sogno di mezz'estate: un'onirica e parodica indagine senza cogito, una funambolica fantasmagoria fumista, scorrevole di indovinelli senza risposta, affastellata di apparizioni avulse di senso: ombre, vite, corpi, squarci, aperture che schiudono allo sguardo più prospettive contemporaneamente.
Per Doc è impossibile riuscire a vedere in maniera tangibile l'enigma che dovrebbe risolvere, perché, come scrive Merleau-Ponty, ne è intimamente coinvolto, inglobato, e dunque lo vede muoversi col proprio stesso movimento. Un movimento ondivago, privo di direzionalità, perso in un rizoma di probabilità, dove i corridoi sono tutti potenzialmente in collegamento in una rete di relazioni che non presuppone l’unicità del percorso ma la sua molteplicità. Le avventure di Doc, proprio perché segnate dal suo continuo tentativo di sfuggire allo spaesamento, ricordano quelle della disorientata eroina eponima del romanzo di Lewis Carroll che in una riscrittura collettiva del 1977 curata da Gianni Celati, ruotante proprio attorno a queste suggestioni di destabilizzazione e di continua mutazione, veniva programmaticamente rititolato Alice disambientata.
Doc, alla stessa maniera di Alice, è sperduto in un mondo disordinato, incongruo, controcorrente, in perpetuo mutamento; un mondo che è una logomachia (in cui i nomi sono crittogrammi), spalancatoci, come nel testo carrolliano, da una voce narrante, quella della fantasmatica Sortilège che, un po' come il gatto del Cheshire, scompare senza preavviso trasformandosi in nulla. Un paese delle meraviglie che sovverte le realtà ipoteticamente concrete (tutto appare come un riflesso rovesciato), retto da personaggi folli, alcuni dei quali assurdamente formali, arroganti, blateranti, verbo-deliranti, dai quali rischia continuamente di venir messo a soqquadro. Qui, «l'unica, grande legge, che regge [...] è quella della Metamorfosi, che trasforma le persone e le cose, dissolvendole nella fantastica pantomima della possibilità. [...] Metamorfosi - che - diventa il principio stesso della narrazione. [...] Ogni volta che uno dei giocatori sposta una pedina, la narrazione si interrompe di scatto, e il paesaggio e i personaggi si dissolvono. Entriamo in un nuovo spazio-tempo» (Citati 2009).
Si ha come l'impressione che l'ambiente sia organizzato per “quadri”, ciascuno dei quali costituisce una sorta di universo chiuso, dai confini prestabiliti netti e precisi che non lascia immaginare altro al di fuori dei suoi bordi. Doc, proprio come Alice, passa da un “quadro” all'altro e ciascun mondo nel quale entra pare non avere punti di contatto con gli altri mondi. Tempi e spazi sfuggono l'uniformità e la continuità, tanto da dar l'impressione che siano gli oggetti, i corpi a generare dimensioni proprie facendo sbocciare spiazzanti circostanze caleidoscopiche che ci danno simultaneamente frammenti di situazioni in azione reciproca. Quasi un divenire paradossale, lo stesso a cui fa riferimento Deleuze parlando di Alice, che comprende contemporaneamente momenti passati e momenti futuri nell'istante dell'evento.
Anche Sportello precipita nel Wonderland del nonsenso attraversando lo specchio incantatorio del paradosso. E il paradosso, come si sa, è «innanzitutto ciò che distrugge il buonsenso come senso unico, ma, anche, ciò che distrugge il senso comune come assegnazione di identità fisse» (Deleuze 2005, p. 11). Ogni incontro, ogni particolare della trama si riflette, duplicandosi, incessantemente l’uno nell’altro; i personaggi risultano costituiti da più sé, ciascuno dei quali non è sovrapposto, ma giustapposto all’altro, un po' come se ci si imbattesse in molteplici Tweedledum e Tweedledee: in tante immagini gemellate messe in abisso; nella visione di una visione che rimbalza (su tutte lo sdoppiamento finale tra Doc e il suo doppio opposto Bigfoot Bjornsen), e «attraverso lo scarto dell'identità o della somiglianza casuali, il gioco rende accessibili piani del discorso alternativi e normalmente invisibili» (Bartezaghi in Carroll 2006, p. XXII).
Egli faceva parte del mio sogno, naturalmente... ma allora io a mia volta facevo parte del suo!
(ivi, p. 166)
In Inherent Vice, come nelle avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie e Al di là dello Specchio, domina l'ossessione per i raddoppiamenti di ogni genere. Doc si muove in un mondo, in cui la collazione apparentemente incongrua, nonsense, di esperienze partorisce identità molteplici, imprevedibilmente mutanti (tanto da poter parlare di figure-portmanteau: mescolate insieme per crearne di nuove), e lui stesso non ne è dispensato. Le sue peripezie, come già per Alice, sono scandite da un'ininterrotta serie di mutamenti che ne minano l’integrità individuale, tanto che la risposta data dall'eroina di Carroll al Bruco, curioso di sapere chi avesse di fronte al momento del loro primo incontro, non stonerebbe affatto se a dirla fosse il protagonista del film di Paul Thomas Anderson:
Io... io non saprei, signore, con esattezza, sul momento... o perlomeno so chi ero
(ivi, p. 43)
Per entrambi, il motore dell'azione coincide con una trasformazione del corpo a cui segue una modificazione della mente. I continui cambi d'acconciatura di Sportello corrispondono al dilatarsi ed al restringersi di Alice; in ambedue i casi si tratta di un'anticipazione allo sforzo mentale che richiede l’adattamento al nuovo corso degli eventi. Un cambiamento vissuto come sperimentazione dell’essere qualcuno fuori da sé, del "far finta che", assecondando un mondo allucinato dove nemmeno le cose più ovvie riescono come sono in realtà. A riprova di quanto scritto, le parole di Sortilège rivolte a Doc all'inizio del film: «Te l'ho sempre detto... se cambi capelli cambi vita».
Ci vuole una pettinatura, così come una statura, per ogni circostanza.
Le suggestioni che in Inherent Vice portano ad Alice rimandano inevitabilmente ad altri testi, che del romanzo carrolliano sono la rimodulazione, come ad esempio Lolita, il libro di Vladimir Nabokov intessuto di umori, allusioni (il suono di Humbert Humbert fa eco a quello di Humpty-Dumpty), giochi nonsensici2 e riferimenti diretti all'opera di Carroll3, talora esplicitamente nominata4.
Ecco allora che alcune situazioni del film di Anderson possono venir rilette con le parole di Nabokov, come ad esempio l'amore di Doc per Shasta: «Ciò che avevo follemente posseduto non era lei, ma una creatura mia, una creatura di fantasia forse ancor più reale [...]; qualcuno che le si sovrapponeva e la inglobava; qualcuno che aleggiava tra lei e me, senza volontà né coscienza – anzi, senza nemmeno una vita propria. [...] come se lei fosse un’immagine [...] che fluttua su uno schermo e io l’umile gobbo intento all’onanismo nell’ombra» (Nabokov 1996, p.82).
Anderson, come Nabokov, racconta il tentativo del suo protagonista di salvare il proprio sguardo innamorato, imprigionando l’amata nel desiderio che non si può trovare nella vita ma soltanto in uno smarrimento dalla realtà. Del resto sotto la passione di Doc per Shasta, così come di Humbert per Lolita, arde la nostalgia di un amore estivo di gioventù.
(a tre Alici... Al di qua dello Specchio conosciute come Lia, Vale e Simona.)
Note
1. Un eroe-bambino americano, direbbe Wystan Hugh Auden, un Huckleberry Finn, «un Nobile Selvaggio, un anarchico […]. La sua virtù eroica – ossia la superiorità rispetto agli adulti – consiste nell'essere libero dai modi di pensare e di agire convenzionali» (Auden in Carroll 2006, p. X).↑
2. «I colibrì prendon l'aeroplano, / i serpenti passeggiano tasche in mano. / I bizzarri modi di un certo coniglio / fra i conigliologhi fanno scompiglio» (Nabokov 1996, p. 318).↑
3. «una brezza che viene dal paese delle meraviglie, aveva cominciato a influenzare i miei pensieri» (ivi, p. 167).↑
4. «[...] mentre il mio occhio furtivo, periscopio sempre vigile del mio vizio vergognoso, distingueva da lontano una ninfetta seminuda, immortalata nell'atto di pettinarsi i capelli da Alice nel Paese delle Meraviglie» (ivi, p.329).↑
Filmografia
Vizio di forma (Inherent Vice) (Paul Thomas Anderson 2014)
Bibliografia
Celati G. (2007): Alice disambientata, Casa Editrice Le Lettere, Firenze.
Carroll L. (2006): Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie e Al di là dello Specchio, Einaudi, Torino.
Deleuze G. (2005): Logica del senso, Feltrinelli, Milano.
Nabokov V. (1996): Lolita, Adelphi, Milano.
Sitografia
Citati P. (2009): Peter Pan il bambino magico figlio di Alice, in «La Repubblica.it».