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«Mi sono convinto a fare questo film senza ancora avere una storia, ma avendo uno spazio, un luogo: era il 1991, dovevamo girare una puntata di un programma televisivo che facevamo a quei tempi e passammo tutta la notte nel Mercado 4. Ne fui letteralmente affascinato e pensai che fosse una location perfetta per un film, specie di notte, quando è chiuso. Così ho iniziato a visitarlo sempre più spesso, scoprendo infine la figura del caretillero, un personaggio emblematico perché si trova solo lì e in nessun altro luogo, una sorta di “uomo di fatica” (ma anche donne e ragazzini) che trasporta, carica e scarica merci di ogni tipo, ed è vedendo uno di loro che portava delle grosse casse sulla propria carretilla, che mi è venuto in mente di creare una storia su quale potesse esserne il misterioso contenuto».


Juan Carlos Maneglia mi parla così del luogo magico, il mercato 4 di Asunción, in cui è ambientato e da cui ha preso vita 7 Cajas , il film che ha girato a quattro mani con Tana Schémbori e che ha partecipato a circa centoventi festival in tutto il mondo, caso unico nella storia del cinema paraguagio e vinto premi praticamente ovunque, da quello per la miglior sceneggiatura allo Skip City International D-cinema Festival di Tokyo a quello del pubblico conseguito al Festival del Cinema Africano, Asiatico e Latino-Americano di Milano nel 2013, da quello per la miglior pellicola straniera in lingua spagnola, ottenuto durante la diciassettesima edizione del Premio Goya (2013), a quello per la sezione “Cinéma en Construction” al Festival di San Sebastian (2011), solo per citarne alcuni.
Un film sulle «distopie tipicamente paraguagie che emergono attraverso una lettura critica del nostro modo di pensare» dice Maneglia, che in questa forma di coscienza polemica vede il «sottofondo di impegno sociale che dà spessore a questa pellicola», alla quale dice di aver voluto dare «la struttura di un cinema di intrattenimento made in USA, che sappia divertire il pubblico con buoni e cattivi, inseguimenti spettacolari e sparatorie, e quant'altro», per rendere omaggio alle pellicole americane che vedeva da bambino.

Siamo nel 1995, Victor ha 17 anni, lavora come carretillero nel Mercado 4, sogna ad occhi aperti di diventare un divo del cinema, e crede che un cellulare con videocamera, con cui riprendersi, lo possa far sentire più vicino al suo sogno, più “attore”. Per poterne acquistare uno accetterà di far fuoriuscire dalla bottega del macellaio Don Dario sette casse che non devono essere trovate dalla polizia (quelle che danno titolo al film) dietro promessa del pagamento di cento dollari alla riconsegna.
Nelson, l'antagonista, invece è un carretillero più anziano di Victor alla ricerca di denaro per comprare le medicine al figlio malato. Un uomo disperato che tenterà con ogni mezzo di sottrarre le casse e la ricompensa a Victor, anche a costo di commettere crimini e omicidi, di ordire agguati e inseguimenti, dando vita a una storia di persecuzione e caccia all'uomo ricca di colpi di scena ed elementi di thrilling.
Sulla base di un disegno del tutto consapevole, poi, Maneglia e Schembori scelgono di declinare questi elementi secondo una sensibilità profondamente nazionale, paraguagia sin nel midollo: «Immagina una scena di inseguimento dei film americani, con la stessa velocità e con lo stesso tipo di montaggio ritmico, ma al posto delle loro auto mettici le nostre carretillas e al posto delle loro super strade mettici i vicoletti e gli spazi ingombri del Mercado 4».
E come in ogni film “di inseguimenti e sparatorie” che si rispetti la chiusa è a dir poco epica, la classica sparatoria finale dei polizieschi e western americani, ma improntata a questa epicità minore e dolente, estremamente paraguagia che investe un po' tutta l'opera, in base alla quale in luogo di cowboy muscolari e gangster coriacei ritroviamo paraguagi smagriti in ciabatte infradito e poliziotti annoiati, che alla pistola preferiscono le empanadas.
La cosa interessante è che questa voglia di divertire, questa propensione al cinema d'azione non diventa mai per Maneglia e Schembori la scusante per cedere a leggerezza o disimpegno, anzi pur in questa propensione azionistica dichiarata, restano saldamente ancorati alla propria volontà di disamina sociale di un paese così diseguale al suo interno come il Paraguay, e ce lo restituiscono attraverso una bella galleria di ritratti, umani e agri, dolenti , ridicoli o famelici.

Hitchcock diceva che un film è tanto più riuscito quanto più è riuscito “il cattivo”, in 7 Cajas il tuo antagonista, Nelson, è di un tipo piuttosto particolare tanto che si fatica in certi momenti a non parteggiare per lui, tanto è umano e disperato, e non sembra poi così diverso dal protagonista Victor, accomunati dalla spasmodica ricerca di denaro...

Volevo evitare gli stereotipi un po' logori del buono e del cattivo 'assoluti', ho voluto che il nostro cattivo avesse una motivazione nobile, come comprare le medicine per il suo bambino mentre il buono ne avesse una del tutto effimera, come avere un cellulare; dopodiché hai ragione quando dici che entrambi sono disposti a tutto pur di trovare denaro, come quasi tutti quelli che popolano il mercato e il film: la ragazza incinta ha bisogno di soldi, Victor ha bisogno di soldi, gli inseguitori di Victor (altri carrettilleros ingaggiati da Nelson) hanno bisogno di soldi… tutti in questo film hanno bisogno di soldi. Dopodiché il paradosso che mi interessava mettere in scena risiede nel fatto che molti, a partire dal protagonista, riusciranno, sì, a realizzare i propri sogni, ma senza l'intervento di quel denaro che hanno inseguito per tutto il film: per un regalo della vita, perché sono credenti, perché li aiuta la mano di Dio, o più semplicemente perché era destino. Victor, sebbene in un modo del tutto inaspettato, comparirà davvero in televisione, anche se non ha trovato i soldi per il cellulare, e la ragazza incinta riuscirà lo stesso ad avere un bel bambino, anche se ha perso i soldi che era riuscita infine a ottenere vendendosi il cellulare, tanto per dire.

altIn qualche modo, possiamo dire, che tutti i comportamenti “devianti” dei personaggi derivano dalla necessità di aderire al modello sociale dei consumi, al bisogno (imposto) di possedere sempre più beni materiali, anche se non indispensabili?

C'è stata una rincorsa al modello socioculturale consumistico e iper-industriale poco attenta al tessuto culturale preesistente e troppo rapida per essere completamente metabolizzata, la parte della popolazione “meno attrezzata” per il cambiamento, quella del Mercado 4 ne è un esempio significativo, è stata spinta verso una spietata forma di lotta per la pura sopravvivenza. Tra i “regali” che questo modello culturale ci ha lasciato annovero anche il generalizzato bisogno di apparire, di passare da di fronte a dentro lo schermo, un bisogno che in Victor diventa ossessione.
Tra l'altro una mia amica, dopo aver visto il film, mi ha fornito una interpretazione del finale cui non avevo pensato, facendomi notare che i poveri possono finire in televisione solamente nella section amarilla, la sezione dei telegiornali paraguagi dedicata ai fatti di cronaca nera... È un'interpretazione altamente drammatica, che a me è piaciuta molto.

Alla fine, l'unico che se la cava è la vera mente criminale del film, Jorge, colui che organizza il rapimento della moglie e riesce a fuggire con i soldi del riscatto...scelta scomoda.

Sì, la “mente” di tutta la faccenda alla fine rimane con i soldi e riesce a scappare, salvando anche “la pelle”, diversamente dai suoi complici. Anche in questo caso non volevo fare il solito finale convenzionale in cui il cattivo muore. A morire sono solamente i cattivi secondari, i quali decedono principalmente a causa della loro poca furbizia, della loro stessa stupidità. E' un tipo di dinamica sociale e interpersonale su cui volevo riflettere e che si riassume nella frase che abbiamo scelto per le locandine “El vivo vive del sonso”, cioè “il “vivo”, il più astuto, nel senso meno nobile del termine, sfrutta il più stupido ed è così che riesce a ottenere i propri risultati. Jorge sfrutta e spesso sacrifica i suoi compari, decisamente meno pronti sul versante intellettivo, e infine, non prima di aver eliminato con le proprie mani Luis, ultimo tra loro rimasto in vita, li deruba clamorosamente, visto che se la svigna con il bottino indiviso.
In più Jorge è anche il più “ricco” di tutti, il solo che non sia mosso da reale necessità economica ma da banalissima avidità, e salvandolo ho cercato di mettere in evidenza, polemicamente, quello stato dei fatti, non solo paraguagio, secondo cui il ricco, il potente, alla fine vince sempre, in un modo o nell'altro, condannando chi possiede di meno a una sconfitta perenne.

Il piano tematico che hai sviluppo è piuttosto stratificato e complesso, tuttavia non può definirsi un film pretenzioso o, in senso lato, ‘intellettuale’…

7 Cajas nasce innanzitutto con la volontà di essere una pellicola di intrattenimento ma che sappia esprimere le distopie della nostra società e il nostro spirito. Credo che l'equilibrio tra questi elementi sia molto delicato perché 7 Cajas non è un film sul modello di City of God, che intende essere essenzialmente polemico e avanzare una denuncia molto violenta, ma nemmeno sul tipo di Lethal Weapon che punta unicamente sull'azione. Tutto stava nel trovare il giusto equilibrio tra questi elementi. Nel nostro caso l'intento di denuncia sociale c'è ed è un elemento fondamentale del film, ma volevo che emergesse in maniera meno diretta e appariscente e che convivesse con i riferimenti al cinema d’importazione più spettacolare, con il quale noi tutti siamo cresciuti. Devi sapere che nel periodo della mia infanzia il Paraguay aveva meno di dieci sale cinematografiche, per quattro o cinque milioni di abitanti, e tutte proiettavano esclusivamente pellicole americane, che dunque sono i film che ogni paraguagio ha visto sin da piccolo, su cui si è “formato” come spettatore di film; in più volevo ibridare questi riferimenti con qualcosa di misterioso, che riguarda Victor, il quale desidera fortemente andare in televisione senza però sapere perché, come fosse stregato.

Oltre a quelli di Nelson, Victor e Liz, avete creato ritratti “credibili”, cioè non stilizzati e poco recitati di personaggi secondari come la sorella di Victor e la sua amica incinta o i vari carretilleros, che contribuiscono a rendere estremamente reale il vostro Mercado 4. Parlami di come sei arrivato a costruire questo tipo di personaggi.

Penso a 7 Cajas come a un film che ha un piede nella finzione (quei richiami al cinema americano, ndr), e uno letteralmente sprofondato nella realtà. Come ti dicevo dopo una fase di lunghe visite e osservazione attenta del mercato sono riuscito a stringere amicizia con uno dei carretilleros, Tano, da cui ho preso il nome per il personaggio amico di Victor che ruba una delle casse nel film. Io non parlo il guaranì e lui mastica appena lo spagnolo quindi all'inizio comunicare è stato difficilissimo, poi, però, mi si è aperto, letteralmente, un mondo. È stato lui a farmi conoscere molta gente del mercato che mi ha ispirato i personaggi del film, prima fra tutte Liz, la sua fidanzata su cui ho voluto costruire la Liz del film in maniera fedelissima. Pensa che per ottenere questa somiglianza totale tra personaggio e originale, l'attrice Lali Gonzales si è trasferita per più di un mese a casa di Liz per studiarne ventiquattro ore su ventiquattro la mimica, il linguaggio, perché neanche lei parla guaranì, “l'umore” ecc.»

Una fedeltà quasi antropologica alla realtà del Mercado 4, quindi...

Si, c'è molto “mercato vero” nel film, la vera gente che ci lavora o che ci va a fare acquisti, le facce che ci trovi veramente, in più molti dettagli e situazioni caratteristiche provengono direttamente dalle labbra del mio amico carretillero. Lo andavo a trovare di notte, quando finiva di lavorare, e lui mi portava a bere birra in qualche bugigattolo nascosto tra i vicoli del mercato. Un'impresa epica per me che non bevo alcolici, ma preziosa, perché tra un sorso e l'altro Tano raccontava mille e mille storie sul mercato, leggende metropolitane e usanze sconosciute, come le feste segrete che vi si tengono nottetempo e che hanno ispirato la scena in cui Victor e soci devono riuscire a sfuggire a Nelson e compari dovendo districarsi con la carretilla sovraccarica di casse tra la folla danzante di una di queste feste.
La cosa incredibile è che la nostra ricostruzione di quella realtà ha avuto in qualche modo l'avallo della gente stessa del mercato, che ha “adottato” 7 Cajas e lo considera il “suo film”. E' per questo motivo che, sebbene il Mercado 4 sia l'epicentro della pirateria di dvd qui in Paraguay, hanno impedito la diffusione di copie illegali...addirittura nel mercato c'erano i cartelli con scritto “non si vendono copie di 7 Cajas” e per mesi in tutto il Paraguay è stato impossibile trovarne.

altJuan Carlos Maneglia e gli attori...

Per quanto mi riguarda sul set non si improvvisa nulla, dopodiché è principalmente Tana che segue il lavoro sulla recitazione. Tendiamo comunque a lasciare estrema libertà agli attori in tutte le fasi che precedono il set, dallo studio sulla realtà, vedi il bel lavoro che ha fatto Lali, sino alla costruzione vera e propria del personaggio, la sua caratterizzazione, la sua gestualità eccetera, ma quando si arriva sul set tutto deve essere rigoroso e ben poco spazio resta per la “creatività” degli attori.

Avete usato tipologie di attori piuttosto diverse in questo film...

Victor, Liz e Nelson sono parti improntate a una grande naturalezza, volevo che fossero il più vicino possibile a persone reali, mentre le parti di Don Dario e Luis, i personaggi che introducono nel film una componente più umoristica, grottesca, hanno una maggior caratterizzazione fisica, un tipo di recitazione più teatrale, che permetta la produzione di effetti comici. Don Dario è interpretato dal clown Paletita e la sua recitazione è estremamente corporea per natura, mentre abbiamo spinto molto la caratterizzazione fisica di Luis perché l'attore che lo interpreta, Nico Garcia, è un volto estremamente noto in Paraguay e non volevamo che fosse troppo riconoscibile. Ecco... l'eccesso di caratterizzazione del suo personaggio probabilmente è il principale punto debole del film, per mancanza di esperienza abbiamo ecceduto la misura, e la prestazione di Nico nel suo insieme risulta un po' troppo “sopra” al resto, troppo marcata in un contesto in cui tutto è estremamente naturale... non so se mi spiego.

Come avete girato?

E’ stata una realizzazione quasi amatoriale. Abbiamo girato con una macchina fotografica (ndr: la Canon EOS-1D Mark IV) e con un capitale iniziale di soli 140 mila dollari. In più, lavoravamo nel contesto reale del mercato, in mezzo alla folla, senza poter ‘affittare’ il luogo, il che fu davvero complicato sia perché l'ambiente sonoro era del tutto incontrollabile sia perché era un continuo passare di gente davanti all'obiettivo. Le riprese in tutto sono durate 44 giorni, e se nelle diurne c'era il problema della folla, nelle notturne c'era il problema del tempo perché i bancarellari sgomberano il mercato solamente alle dieci della notte e lo rioccupano già a partire dalle tre del mattino.
Il fatto che usassimo una camera molto sensibile, che ci ha consentito di usare la luce naturale del mercato, ci ha permesso di essere estremamente rapidi e ,ovviamente, ci ha fatto risparmiare i soldi delle illuminazioni artificiali, che, ovviamente, non avremmo avuto.
Il fatto è che pensavamo di girare un film per il solo Paraguay, senza minimamente sospettare che avrebbe potuto funzionare ai festival o che avrebbe potuto varcare i confini nazionali, per cui abbiamo cercato certamente di farlo bene, il meglio possibile, ma usando solo gli elementi di cui disponevamo in loco.

Alcune soluzioni visive sono piuttosto particolari: la macchina da presa sotto la pancia della carretilla di Victor ci offre un punto di osservazione sul mondo angusto e radente al suolo, in cui la grossa ruota di questa specie di carriola occlude sempre una parte di campo visivo, negli inseguimenti, invece, ci sono inquadrature estremamente ribassate che si muovono velocissime negli spazzi strettissimi tra la folla e schivando a pelo i mille ostacoli.
Come le hai realizzate?

In Paraguay non è semplice reperire attrezzature professionali ai prezzi che per noi erano accessibili in quel momento, quindi con il direttore della fotografia ci siamo dovuti ingegnare a creare strutture e dispositivi che non riuscivamo a trovare sul mercato. Per quanto riguarda le riprese effettuate da sotto la carretilla di Victor si è trattato di creare un supporto ad hoc, per poterci fissare la telecamera, perché sul mercato ne esistono per tutti i veicoli, dall'aeroplano allo skateboard, ma non per le carretillas del Mercado 4 di Asunción. Nelle scene di inseguimento, invece, abbiamo usato una macchina da presa montata sopra una automobilina radiocomandata, il solo mezzo in grado di muoversi a grande velocità negli spazi strettissimi dei vicoli del mercato e in mezzo alla gente.
Insomma si trattava sempre di ingegnarsi con i materiali di cui disponevamo, perché era la sola maniera per realizzare le cose. Pensa che quando abbiamo finito il montaggio preliminare, editato qua (ndr: intende in casa sua), ci siamo ritrovati senza il denaro e l’equipe per la post-produzione, la colorimetria, i livelli finali del suono, ecc, abbiamo girato ovunque: in Argentina, in Cile ma il preventivo più economico era di 50.000 dollari!
Poi abbiamo scoperto che il Festival di San Sebastian ha una sezione che si chiama “Cine en Construcción” dove concorrono i montaggi preliminari, e al vincitore viene finanziata l'intera post produzione. E' così che ci siamo pagati la “post”, ed è così che ci si è aperta la prima “finestra fuori dal Paraguay”, perché subito dopo la proiezione avevamo già diciotto distributori interessati a comprare la pellicola, tra cui la “Shore” ( Shoreline Entertainment, ndr) , con cui poi abbiamo concluso.

Molte scene ricreano una temperie linguistica quasi da videoclip di MTV o da filmato di skateboarding: montaggi rapidissimi, perfette sincronie suono-immagine ecc. Sei sicuro che stessi pensando solo al pubblico locale quando hai fatto queste scelte?

Siamo partiti dall'idea che il pubblico di 7 Cajas sarebbe stato quello di età compresa tra i 18 e i 25 anni, più o meno, che consuma moltissima televisione, quindi sapevamo che per “fare presa” su di loro questo era il linguaggio che avremmo dovuto adottare. In più tanto io che Tana abbiamo appreso il “mestiere” lavorando in pubblicità e nelle serie tv, dove si usano linguaggi veloci e ritmici e dove sei costretto a capire “quello che vuole la gente”. Eravamo consapevoli, allo stesso tempo, di quanto fosse delicata questa operazione, perché il protagonista era un personaggio umile, popolare, che non rientrava in quell'immaginario da MTV-culture a cui quel tipo di scelte stilistiche rimandano, mentre il genere era quasi da commedia grottesca, da umorismo nero, insomma un amalgama difficile da gestire. I nostri timori principali riguardavano il pubblico paraguagio, che di solito è molto più critico verso ciò che si fa qui che non con quello che viene da fuori, quindi sapevamo quanto il trovare l'equilibrio giusto tra tutti questi elementi fosse operazione estremamente rischiosa.

altLo sbaglio, causato da un banale equivoco linguistico, per cui il macellaio che fa da carceriere alla donna rapita ne affetta il corpo in sette parti (il misterioso contenuto delle casse) invece di spartire in sette parti il riscatto, è comico e atroce nello stesso tempo. E’ questo lo humor nero a cui ti riferisci?

Sì, lo ritrovi soprattutto nei personaggi minori, che sono cattivi più per la loro innata stupidità, che non per reale malignità d'animo, pensa al personaggio di Don Dario che hai appena citato: compie azioni terribili, ma non c'è mai in lui la reale intenzione di compierle, gli capitano per errore, o perché non ha capito bene, o si è confuso, in più Paletita, l'attore che lo interpreta, come ti ho già detto, normalmente fa il pagliaccio e vive facendo spettacoli ai compleanni dei bambini e questo influenza molto il suo stile di recitazione, che riesce a portarsi dietro un qualche elemento buffonesco anche nei momenti più terribili o drammatici.

Musica, rumori, ambienti sonori hanno un ruolo rilevante nell’opera…

Moltissimo... per me il suono è il cinquanta per cento del film. Per 7 Cajas la difficoltà principale dal punto di vista realizzativo era il suono in presa diretta perché in un mercato gremito di gente, voci e rumore il suono è davvero fuori controllo ed è stato veramente difficile lavorare sia con i radiomicrofoni attaccati alla pelle degli attori sia con il boom. Tuttavia riuscire a catturare questa “voce” collettiva del mercato era per me indispensabile, perché caratterizza il luogo in maniera univoca, è il “suo” suono e lo rende unico.

E le musiche?

I realizzatori delle musiche sono tre: Fran Villaba si è occupato delle musiche strumentali. Gli abbiamo dato un primo montaggio su cui avevo messo musiche di altre pellicole per avere una struttura ritmica già definita, in modo da ottenere composizioni coerenti con il montato. La sua formazione, come la nostra, del resto, è avvenuta principalmente nella pubblicità, dove si usa molta musica composta con i softwares, ma siccome cercavo una caratterizzazione più paraguagia abbiamo coinvolto anche Rene Ayala, che fa musica sperimentale con strumenti tradizionali indios, molti dei quali in via di estinzione. Abbiamo potuto utilizzare questi strumenti così rari solo dopo aver richiesto e ottenuto il permesso dei vari capi tribù. L'ultimo musicista che è intervenuto è Patrick Altamirano, leader di un gruppo piuttosto noto in Paraguay che si chiama “Revolber”, che ha realizzato il tema finale, il singolo Huye Hermano. Inoltre, Patrick ha realizzato tutte le musiche che sentite provenire dalle radio, le televisioni; la musica che anima tutti i bar e i locali presenti nel film. Ha dovuto fare molte ricerche per ricostruire il repertorio che si ascoltava nel 1995, reggeton, rock, cachaca, musica elettronica e molti altri generi, che Patrick ha ricreato apposta per noi perché non avevamo soldi per comprare i diritti dei brani originali di quel periodo.


Filmografia:

7 cajas (Juan Carlos Maneglia - Tana Schembori 2012)

City of God (Fernando Meirelles - Katia Lund 2002)

Lethal Weapon (Arma letale) (Richard Donner 1987)