alt«Vedo una vecchia signora, coi capelli ritinti, tutti unti non si sa di quale orribile manteca, e poi goffamente imbellettata e parata di abiti giovanili. Mi metto a ridere. Avverto che quella vecchia signora è il contrario di ciò che una vecchia rispettabile signora dovrebbe essere. Posso così, a prima giunta e superficialmente, arrestarmi a questa impressione comica. Il comico è appunto un avvertimento del contrario. Ma se ora interviene in me la riflessione, e mi suggerisce che quella vecchia signora non prova forse nessun piacere a pararsi così, come un pappagallo, ma che forse ne soffre, e lo fa soltanto perché pietosamente si inganna che, parata così, nascondendo così le rughe e la canizie, riesca a trattenere a sé l’amore del marito molto più giovane di lei, ecco che io non posso più riderne come prima, perché appunto la riflessione, lavorando in me, mi ha fatto andar oltre a quel primo avvertimento, o piuttosto, più addentro: da quel primo avvertimento del contrario, mi ha fatto passare a questo sentimento del contrario. Ed è tutta qui la differenza tra il comico e l’umoristico» (Pirandello 1994, p. 116).


Questa citazione da Pirandello, una delle più suggestive e celebri, ci serve per inquadrare gli strumenti e lo scopo di questa riflessione sulla performance attorica e corporea di Philip Seymour Hoffman nel film Flawless-Senza Difetti, di Joel Scumacher, che completa quella dedicata a De Niro pubblicata su queste stesse pagine e che ha per oggetto lo stesso film.
Saranno infatti le categorie del grottesco pirandelliano, che lui chiama “umoristico”, della duplicità e del contrasto, ad orientare la nostra disamina dei comportamenti drammaturgici e gestuali del biondo Hoffman.
Nuovamente il corpo si trova ad essere indagato nelle sue potenzialità comunicazionali ed espressive e come luogo di una serie di conflitti, di contraddittorietà in grado di innescare quella costituzione duale e “umoristica”, direbbe Pirandello, del personaggio, che da una fruizione epidermica e superficiale ci porta verso la com-partecipazione, la com-prensione profonda della sua umanità.
E certo la prima e più determinante relazione contrastiva in cui è implicato il corpo di Rusty, la trans interpretata da Hoffman, è quello con la sua stessa identità, come si evince da alcune battute:

Walt Koontz: «Ma come fa un uomo a tagliarsi il pisello e le palle? Perché lo vuoi fare? »
Rusty Zimmerman: «Perché... Sono una donna intrappolata nel corpo di un uomo, tesoro... »
Walt Koontz: «No, tu non sei una donna, no.»
Rusty Zimmerman: «Io non sono la tua idea di donna, Walt. »
Walt Koontz: «Eh... tu non sei l'idea di donna di nessuno. »
Rusty Zimmerman: «Sono la mia idea.»

La parole di Rusty non lasciano dubbi, quello in cui vive è un corpo-galera, che imprigiona anziché accogliere quell'identità che sente come sua e questo è percepito come anomalia. Cerchiamo di capire il perché.
L'attuale concezione diffusa, l'idea astratta e socialmente condivisa di identità proviene da quella che possiamo considerare la prima teoria articolata dell'identità personale, elaborata da Descartes a partire dalla contrapposizione e reciproca implicazione delle categorie cartesiane di res extensa, la componente immateriale della coscienza, e res cogitans, il corpo, il radicamento dell'immateriale nella sfera del corporeo.
La distinzione si è poi mantenuta anche nelle teorie e nel dibattito filosofico a venire, che, seppur con differenze spesso marcate, hanno comunque visto nell'integrazione funzionale di queste due componenti il punto di partenza per ogni discorso possibile sul concetto di identità personale.

E' per questo motivo che ci sembra così rilevante la relazione conflittuale che si instaura tra l'identità, la coscienza, la res cogitans di Rusty, che dir si voglia, e la sua fisicità, la sua res extensa, perché siamo abituati a pensare alla relazione mente(identità)-corpo in termini di reciproca integrazione, di concordanza tra i due livelli.
Che il massiccio corpo di Hoffman tutto agghindato con abiti femminili e trucco susciti quell'“avvertimento del contrario” di cui ci parla Pirandello è fuor di dubbio, il contrasto che percepiamo istintivamente è quello tra l'identità (maschile) indiscutibilmente asserita dalle strutture del suo corpo e l'identità (femminile) dichiarata per volontà, che si esprime nei vistosi interventi estetici con i quali Rusty tenta di “rettificare” la destinazione identitaria assegnatagli per natura.
La contrarietà che percepiamo, in realtà, è di ordine antropo-poietico, riguarda cioè l'apprensione di criteri specifici sulla base dei quali la società “plasma” le persone secondo un modello che ritiene appetibile in base alla configurazione culturale di quel momento.

L'insieme degli interventi corporali di tipo estetico (abbigliamento, cosmesi, acconciatura, modulazione della vocalità e della gestualità ecc.) finalizzati alla esternazione dell'identità di genere, infatti, rientra appieno nel novero delle pratiche di tipo antropo-poietico e tra queste fanno parte di quell'insieme di norme culturali che ci insegnano a “essere uomo o donna” secondo il modello accettato (e imposto) dalla società cui apparteniamo.
Rusty, nella sua disperata ricerca di una concordanza identitaria tra coscienza e corpo altro non fa se non dotarsi di regole e di un percorso antropo-poietico autonomi e divergenti, che rimandano a un modello di identità alternativo.
Ecco perché lo spettatore medio eterosessuale percepirà come eccentriche le sue scelte estetiche: perché testimoniano un percorso antropo-poietico cui la società non lo ha preparato, e un concetto allargato dell'identità di genere diverso da quello che gli è stato insegnato da quella stessa società.

Walt Koontz: Eh... tu non sei l'idea di donna di nessuno.
Rusty Zimmerman: Sono la mia idea.

altScegliamo di analizzare la lunga scena durante la quale Rusty si esibisce con le sue drag in un locale notturno e la scena della vestizione in vista dello spettacolo che la precede, nelle quali la sua “eversività antropo-poietica” si manifesta nelle forme più palesi.
Si tratta dell'“altra metà” del lungo montaggio alternato che avevamo analizzato nel paragrafo dedicato a De Niro, in cui Walt si sottopone a una meticolosa e virilissima toelette (l'antropo-poiesi che ritorna) per poi fare il suo trionfale ingresso nel locale con le prostitute.
In entrambi i casi assistiamo a una vera e propria forma di teatralizzazione dell'identità desiderata, di messa in rappresentazione del “modello di persona” che i due personaggi intendono incarnare agli occhi degli altri componenti del consorzio civile, per cui Walt darà vita alla messinscena dell'uomo sicuro e coriaceo, ma galante, in ossequiosa osservanza di tutti quei precetti antropo-poietici che regolano l'idea diffusa di identità maschile, mentre Rusty salirà sul palco nelle vesti di “Busty Rusty”, la drag che le permette di mettere in rappresentazione i lati più squisitamente femminili della sua personalità e la sua totale libertà antropo-poietica.

Come ogni recita degna di tale nome anche questa prevede una lunga fase di preparazione e vestizione dell'attore principale, che inizia con la scelta del “costume di scena”, il giacca-cravatta rigoroso dell'uno contrapposto al turbinio di paillettes dell'altro, che qui servono a presentificare per via sintetica gli universi di senso che i due personaggi incarnano nel film.
Walt sceglie di andare in scena sul palcoscenico della propria rappresentabilità sociale e il pubblico per cui si (auto)recita è quello delle “signore” e degli altri avventori del locale, rispetto ai quali vuole dare una “versione” di sé che si caratterizza per vigore e solidità e che corrisponde all'immagine da “Local Hero” che più lo appaga (nel film è un ex poliziotto che durante un'azione ha salvato 13 vite restando ferito).

La scelta di Rusty, che invece sale effettivamente su un palcoscenico di fronte ad un gruppo di spettatori paganti, non è poi del tutto diversa.
Questo pubblico “professionista”, infatti, funziona per la sua rappresentazione come surrogato di quel pubblico sociale che non può avere. Rusty non è libera di mettersi in scena sul palco della società come lo è Walt, perché questa platea inflessibile disconosce i presupposti antropo-poietici della sua messa in rappresentazione, e li bolla di “non liceità”, quando non addirittura di “oscenità”. E' solo di fronte a questo pubblico selezionato, che intende assistere allo spettacolo di Rusty nel suo esistere, e su un concreto palcoscenico, che potrà andare in scena la recita spassionata di sé da cui altrimenti la società distoglierebbe lo sguardo. Solo nel mondo finzionale dello spettacolo Rusty può interpretare sé stessa.
Ovviamente il Rusty che ne emerge non coincide del tutto con “l'idea generale di Rusty contenuta nel film”, che si realizza per lo più in scene dal contenuto più quotidiano. Durante la mise en abime, per ovvie ragioni di scena, i tratti che consentono il pirandelliano “avvertimento del contrario” saranno volutamente enfatizzati, spettacolarizzati, per l'appunto. E in questo suo dare spettacolo di sé Rusty tenterà di dare la massima evidenza a tutti quegli aspetti che permettono di percepire che non ci troviamo propriamente né di fronte alla femme fatale cui alludono i codici di vestiaro e maquillage, né di fronte al “maschiaccio” cui rinviano i sottocodici di tipo fisiognomico e corporeo.
Proprio in ragione di questa evidenza gridata sarà più facile studiare qui questi tratti specifici, tenendo però presente che nelle scene dedicate al Rusty più quotidiano, non saranno presenti tutti simultaneamente e che si manifesteranno in forma meno smaccata.

Sono diversi gli elementi in immagine che ci permettono di avvertire il senso del contrario pirandelliano, nella sua figura agghindata per lo spettacolo.
Rusty ci viene inizialmente presentato a “pezzi” durante la fase di “trucco e parrucco”: il primissimo piano di un occhio dalle lunghe ciglia finte sulla cui palpebra viene steso dell'ombretto glitterato, il dettaglio della bocca, grande e carnosa, che giganteggia nell'esaltazione cromatica di un rossetto arancione e trasmette da subito un'idea di eccedenza, di “troppo carico” (il colore) e abbondante (la bocca), i fianchi e la schiena troppo morbidi che debordano lievemente dalle aperture di un abito dorato un po' più stretto del dovuto.

Ovviamente per noi che analizziamo la sequenza in modalità frame by frame questi dettagli sono particolarmente evidenti, e il senso di contraddizione tra i codici di abbigliamento e corporeità concreta che ne scaturisce ha una evidenza che nella fluidità e rapidità dello scorrere delle immagini certo non trova, limitato com'è a una prima e fugacissima impressione.
Questa prima impressione di contrarietà si condensa appena dopo, quando si arriva al punto di convergenza del sintagma “alternato” che ci mostra le vestizioni dei due personaggi. Walt e Rusty si incontrano quando il primo apre la porta dell'ascensore, nel quale già si trova la trans in tenuta “da battaglia” con tanto di parruccona rossa cotonatissima, glitters a profusione e ciglia ipertrofiche. La visione ci sorprende e ci diverte, Pirandello direbbe che “avvertiamo”, a un primo e più superficiale livello, il senso del contrario, perché certo la notevole creatura che ci si para di fronte non è esattamente l'avvenente (e chissà perché esile) fanciulla che ci eravamo figurati assistendo alle sofisticatissime fasi di vestizione e maquillage di poco prima.

Al comparire di Walt, Rusty reagisce stizzita (in una delle scene iniziali c'era stato tra di loro un violento alterco terminato in una serie di insulti reciproci - particolarmente pesanti e omofobi quelli di Walt-): lo sguardo incattivito la bocca tesa e severa, indurrebbero il nostro Pirandello a intuire l'inquietudine dietro il trucco perfetto.
Poi scocca un piccolo bacio in direzione di Walt.
La cosa interessante è che Hoffman sceglie di non associare a questa azione le variazioni dei tratti facciali che solitamente la accompagnano, e che sono volte a comunicare per via paralinguistica contenuti psichici ed emotivi di segno positivo, come l'affetto, la sensualità, il senso di intimità che associamo al bacio.

Gli occhi restano fissi e gelidi, la loro chiusura anche parziale sarebbe stata segnale per quell'abbandono, quel trasporto emotivo che si prova nel dare un bacio motivato dall'affetto. Rusty, invece, continua a puntare Walt in uno sguardo di sfida, e subito dopo il bacio ricompone la bocca in una posa severa, con le labbra strette tra loro in un accenno di sorriso compiaciuto per la provocazione lanciata. Un bacio che vuole suscitare la riprovazione morale del suo interlocutore, un anti-bacio che chiama la rabbia invece dell'amore. E infatti Walt si infuria, sbatte la porta e piuttosto che salire in ascensore con una delle «checche isteriche complessate» del piano di sopra se la fa a piedi.
A questo punto per lo spettatore è inevitabile compiere un ulteriore, piccolo passo nella costruzione “umoristica” del personaggio di Rusty, del quale inizia a percepire la dualità, quel qualcosa di diverso e doloroso che gli strati di cipria e le paillettes non riescono a nascondere: ci sono durezza e senso dell'inimicizia nell'universo emozionale di questa creatura che aspira alla sublimità e al fascino.

Come sempre nella velocità di scorrimento delle immagini, che non lascia il tempo di razionalizzare tutti gli elementi separatamente come abbiamo fatto qui, ancora si tratta di una impressione appena accennata, un pre-sentimento del contrario pirandelliano che necessita di conferme ulteriori ma già utile per instillare l'idea che non sia tutto frivolezze e amore il mondo di questa apparente femme fatale.
La strategia attoriale di Hoffman ha l'effetto di spostare leggermente il baricentro semantico del discorso e ci rivela in filigrana che il contrasto più significativo che definisce la personalità di Rusty è quello tra la sublimità fascinosa a cui idealmente rinvia il suo vestiario e la durezza concreta in cui sprofonda la sua esistenza, e non già quello che riguarda, invece, la sua identità di genere che abbiamo considerato sin qui.
Alla luce di questa nuova comprensione del personaggio anche le vistose eccentricità di vestiario e trucco possono essere lette in maniera leggermente diversa, epurate da quella sottile impressione da “fenomeno da baraccone” che probabilmente avevano suscitato di primo acchito, ed essere considerate come i segnali esteriori di un contrasto che si gioca sul terreno dell'identità e del sentimento.

L'impressione si consolida nel passaggio intermedio, quando Rusty, raggiunto l'atrio del condominio-stamberga in cui vivono sia lei che Walt, si lamenta con il portinaio per la presenza dei topi nel suo appartamento.
Nella versione in lingua originale (lo segnalo perché purtroppo nella versione doppiata in italiano il discorso è un po' diverso) la contraddittorietà del personaggio passa tutta dalla sua voce. Hoffman opta per una consistenza timbrica affatto femminizzata, evita gli andamenti cantilenati e le salite tonali «da checca isterica», per citare Walt, che sono parte (purtroppo) inalienabile della rappresentazione stereotipa e ottusamente maschile dell'omosessualità cinematografica. Il primo contrasto che ci interessa, dunque, è quello che si instaura tra questa interiorità di tipo maschile, epifenomenizzata da una altrettanto maschile voce, e il suo “involucro”esterno, dominato da codici deliziosamente muliebri. E l'effetto che ne scaturisce, quello di una sorta di “donnone” poco aggraziata e con un “vocione” che decisamente non si confà a una delicata fanciulla, potrebbe essere perfino comico, se Hoffman non ci mettesse del suo per gelarci il sorriso sulle labbra.
Rusty, infatti, fronteggia il portinaio che vorrebbe negare l'evidenza con sicurezza “virile”, verrebbe da dire, senza alcun tipo incertezza o debolezza, anche se con un infinito senso di stanchezza, ostentando una certa dose disgusto per la persona che ha di fronte che non intende in alcun modo celare. Altro che donnetta, questo è un duro che non teme di manifestare le proprie emozioni e di sbattertele in faccia senza compromessi, che non si lascia intimidire dall'ostilità del portinaio.

L'effetto è ottenuto da Hoffman lavorando simultaneamente sulle qualità paraverbali di tipo emozionale sia della propria emissione vocale che del volto.
Il profilo intonativo del suo locuto, infatti, è quasi monotonale, privo dunque di quegli indici soprasegmentali che testimoniano la nostra partecipazione emotiva nei confronti del nostro interlocutore o dell'oggetto dell'informazione, la frequenza fondamentale che lo caratterizza è piuttosto bassa, dato tipico di situazioni psicologiche come la tristezza e il disprezzo, il ritmo, la frequenza e il volume dell'emissione bassi. Gli angoli della bocca, simile a una “U” rovesciata puntano verso il basso in una espressione di disprezzo corroborata dalla leggera corrugamento delle sopracciglia e dalla accentuazione delle rughe di espressione che si trovano ai lati della bocca, gli occhi quasi a fessura e accigliati esprimono se non proprio rancore quantomeno una forte ostilità.

Ecco il secondo contrasto che interessa la nostra analisi e che guida di nuovo lo spettatore verso una percezione contraddittoria e “umoristica” del personaggio di Rusty, quello che si instaura, ancora una volta, tra la frivolezza degli orpelli esteriori e la durezza, la pesantezza, direi, del suo interiore forgiato alla fucina del rifiuto e della discriminazione.
Ed è proprio la voce a fare da trait d'union con la scena successiva, quella dello spettacolo che Rusty e le sue girls tengono in un locale notturno.
L'attacco è in campo medio con una vista sull'ingresso del club ai cui lati campeggiano le locandine che reclamizzano lo spettacolo. Con uno stacco netto sull'asse inizia un secondo quadro, che riprende l'ingresso più da vicino e da qui un movimento in avanti stringe sulla locandina sino a quando possiamo distinguere nettamente la foto di “ Busty Rusty”, questo il nome d'arte dichiarato, incorniciata da un grande cuore rosa e la scritta che lo pubblicizza.
Mentre avviene tutto ciò sul piano del visivo una voce acusmatica, maschile, profonda ma vellutata, che per via della locandina e della foto che stiamo vedendo, attribuiremo a Rusty, intrattiene un pubblico, per il momento ancora non visibile :«Siete comodi? Siete davvero fantastici...».

altQuando con un nuovo stacco netto Scumacher ci permette di associare nuovamente questa voce al corpo di Hoffman tutti gli aspetti contrastivi che ne qualificano la creazione attorica raggiungono l'apoteosi.
L'abito di scena è un vero tripudio di paiettes sull'arancione dorato con tanto di enorme fiocco rosso che “impreziosisce” le terga a mo' di uovo pasquale. La mise costituita dal parruccone rosso e dal trucco vistosissimo e iper glitterato che avevamo già descritto è stata arricchita da gioielli pacchiani e voluminosi, che non fanno che ridondare il generale effetto “sbriluccicante”di tutta la figura.
In evidente contrasto con queste componenti d'immagine la sua voce si mantiene su registri assai bassi e il timbro resta grave, di una profondità scientemente maschile, appena flautata da una leggera soffiatura d'aria, che le dona una certa delicatezza ma con cadenze e accenti che nulla hanno di effeminato.

La voce, oltre alle informazioni verbali e paraverbali, trasmette una serie di indicazioni, che chiamiamo extralinguistiche, che riguardano qualità stabili del soggetto parlante come l'età, le dimensioni del suo corpo, le sue idiosincrasie e ovviamente la sua appartenenza di genere.
E proprio su quest'ultima informazione Hoffman sceglie di insistere attraverso le sue scelte in fatto di vocalità. Da attore consumato quale certo fu avrebbe potuto usare mille espedienti, mille sfumature, per accordare maggiormente la propria voce alle caratteristiche femminee del suo aspetto, invece sceglie di accentuare la crasi tra i due livelli, di evidenziare, qui sì pirandellianamente e umoristicamente, gli aspetti di contraddittorietà del personaggio.
Un corpo duale, che diviene il medium per l'interazione dialettica tra i poli del maschile e del femminile e, contemporaneamente, per la loro reciproca negazione, per il conflitto.

L'insieme, nuovamente, apre alla possibilità del comico, le forme rotondette di “Busty Rusty” hanno qualcosa dell'insaccato così strette dal vestito fasciantissimo, l'andatura è resa caracollante da tacchi presumibilmente alti che però restano nascosti nell'ombra del locale, il fiocco enorme ironicamente posto a decorare il non piccolo posteriore, come fosse un pacco regalo e quel vocione che mal si accorda con tutto il resto creano effettivamente qualcosa di cui si potrebbe anche sorridere in maniera del tutto liberatoria, se nelle scene precedenti Hoffman non avesse avuto l'accortezza di lasciar intravedere quella compresenza di frivolezza e tragicità che segnano l'esistenza del suo personaggio.
Questa propensione al riso muta definitivamente di segno quando Rusty, facendo salire sul palco uno degli spettatori lo ammonisce:
«Amore mettiti qui ma non ti avvicinare di più, quelli come te mi pestano appena esco dal locale...non so se mi spiego...qui dentro mi amate, ma appena esco fuori di qui mi gonfiate di botte...»
La battuta, per quanto pronunciata in contesto ludico e spettacolare ha comunque l'effetto di operare un brusco rimando alla condizione di quotidiana emarginazione di Rusty, alla paura della violenza omofobica, al fatto che solo in situazione finzionale e recitativa le è consentito di essere se stessa senza il timore di ritorsioni.
Ancora una volta, dunque, la parola invita a una parziale risemantizzazione del dato d'immagine e spinge lo spettatore verso una nuova e più profonda lettura di questa creatura da palcoscenico, che dietro i frizzi e i lazzi, i brillantini e i fiocchi nasconde un fardello di umanissima disperazione.

Creatura squisitamente pirandelliana, dunque, questa Busty Rusty, divertente e tragica, fascinosa e goffa, maschile e femminile, dolcissima e durissima tutto insieme, in corpo unico e polisemico, in grado di rinviare continuamente a universi di senso conflittuali che in lei risultano inscindibili gli uni dagli altri.
E questa implicita contraddittorietà tutta si ritrova anche sul piano figurale.
Il trucco iper cromatico e brillantinato, che certamente risulterebbe eccessivo perfino su un delicato visino femminile, sulla faccia larga di Hoffman produce effetti di “sovraccarico visivo” ben lontani da quell'ideale di muliebre avvenenza cui Rusty evidentemente aspira.

Le pose vezzose con cui atteggia le mani, sembrano modellate su quelle iper plastiche delle dive del muto e del sonoro degli albori, solo che riprodotte dagli arti un po' tozzi e dalle grassottelle mani di Hoffman non mancano di produrre effetti che danno sull'umoristico.
E si badi bene che scrivo umoristico e non comico, perché ci è impossibile riderne semplicemente, non percepirne al contempo il portato di sofferenza che si dispiega nel conflitto tra l'eleganza del gesto e la dis-eleganza della figura, del corpo che lo compie.
Lo stesso poi potrà dirsi della camminata da femme fatale di Rusty, spogliata di ogni sublimità da un'ancheggiare vistoso e inadatto alle dimensioni generose del suo posteriore, dell'effetto “mascherone” comico e tragico insieme che quei trucchi pensati per le fattezze femminili producono sul suo volto largo e mascolino, o della curva sontuosa della schiena, che in quel corpo privo di slancio verticale più che sensuale diventa goffa.

Hoffman non è mai caricaturale nella sua rappresentazione gestuale del femminile, non risulta mai posticcia e le sue movenze, anzi, risultano di una femminilità schietta, che basta da sola a creare il contrasto umoristico con le fattezze massicce e mascoline del suo corpo, senza necessità di ulteriori sottolineature di tipo mimico o attorico che avrebbero forse finito con lo scadere nel macchiettistico (il tipico effettaccio di “uomo che cerca di muoversi come una donna”).
È alla luce di questo ordine di considerazioni, poi che potremo leggere le altre scene in cui compare Rusty, sempre tenendo presente che quando interpreta Busty Rusty tutti i sottocodici relativi alla sua self-immage femminile, la sola nella quale si ri-conosca, sono portati al parossismo per ragioni di spettacolo, anzi sono l'oggetto e il mezzo di questo spettacolo. Dunque nella rappresentazione del personaggio colto nel suo quotidiano quegli indici che ne fanno emergere la duplicità umoristica e innescano il contrasto grottesco saranno sempre presenti, ma in forme meno palesi, che attenuano di misura i contrasti tra corporeità oggettiva e aspirazione estetica e ritrovano una gestualità meno ostentata, un trucco e un abbigliamento decisamente più sobri, la “normalità” di Rusty, insomma, con la sua normale duplicità intrinseca di maschile e femminile, di corpo e anima, di peso e leggerezza, di riso e di pianto.


Bibliografia

Pirandello L. (1994): L'umorismo e altri saggi, Giunti, Firenze.