Gianfranco Costantiello

r plusForse, prima o poi, arriva per tutti il momento in cui si fa irresistibile il desiderio di vedere com’è fatto al suo interno un giocattolo col quale si è giocato troppo a lungo. Ad esempio, Daniel Lopatin, il compositore di stanza a Brooklyn – meglio conosciuto come Oneothrix Point Never (da ora in poi OPN) – comincia il suo delicato processo di smontaggio già dal bellissimo Replica (2011), per proseguire intensamente, accasandosi intanto presso la Warp Records, negli ultimi due dischi: R Plus Seven (2013), e Commissions I – eppì rilasciato lo scorso aprile, in occasione del “Record Store Day”. Infatti, le traiettorie scintillanti e apparentemente squilibrate dell’ambient-drone degli esordi, sembrano piegarsi a una progressiva decostruzione della frase musicale attraverso un taglio chiaramente minimalista.

Nell’incedere dei loop – e penso su tutte a Boring Angel, che è senza dubbio il manifesto di R Plus Seven – il tempo comunemente inteso – come uno scorrere lineare – viene a sospendersi, diventando un tempo immanente, un puro divenire che si schiude all’esperienza molecolare e intensiva del suono ripetuto e delle sottili submelodie che ne derivano – e che vanno alla deriva. A ben vedere, questa sintassi rigogliosa e macchinosa tende a sfrangiarsi costantemente in una molteplicità di spazi indefiniti e vaporosi. Ed è proprio da questi varchi inattesi e ulteriori, in cui si intercettano brevi dialoghi col silenzio e si diramano accenni di vorticose fluttuazioni cosmiche, che emerge l’essenza apparentemente frammentaria del disco. A dirla tutta, sarebbe più corretto affermare che il suo sia un flusso denso e stratificato piuttosto che frammentario. Diremo allora che la macchina musicale di R Plus Seven assomiglia a un gioco libero che da una parte scrive un territorio, un nucleo d’identità – il Ritornello deleuziano –, e dall’altra si apre a vertiginosi détournement.

Esperienza magmatica e inafferrabile, R Plus Seven sfila attraverso dieci imprevedibili tracce che abbracciano gli infiniti flussi della materia sonora. Una materia ora angolosa e diafana, ora astratta e aliena; brulicante come una staffetta tra ciuffi d’erba in un campo giocato dal vento, gloriosa come un insperato bagliore di luce sulle vetrate della Sainte-Chapelle. Se Americans e Problem Areas paiono imbrigliarsi tra gli anfratti selvaggi del Philip Glass di Aguas da Amazonia (1993/1999), in Chrome Country – il brano che più di tutti suggerisce gli sviluppi lineari e nebulosi di Commissions I – s’avverte il sotterraneo slittamento verso quelle atmosfere ambient che erano ad esempio del Brian Eno di Music for Airports (1978) o dell’Aphex Twin di Selected Ambient Works ’85-’92 (1992).


commissions IE infatti, in Commissions I, sembrano attenuarsi le determinazioni instabili e pluridirezionali del piano d’immanenza di R Plus Seven, mentre s’intercetta un ritorno a una composizione più lineare e narrativa. Come s’intuisce dal titolo, i tre brani dell’eppì, non sono altro che lavori su commissione; ma bisogna pur dire che è innegabile l’innesto lungo lo stesso solco sonoro. Music for Steamed Rocks, ad aprire, rivisita, in uno sfarfallio celestiale, i Preludi del compositore Witold Lutosławski – in occasione dei suoi cent’anni dalla nascita. E subito s’intravede nettamente una certa affinità, una medesima visione musicale tra OPN e il grande musicista e direttore d’orchestra polacco in quel movimento sregolato e infantile che afferma l’aleatorietà nel comporre.

È un arpeggio dalla reminiscenza kraftwerkiana a inaugurare invece Meet Your Creator, tracciata a disegnare il volo di alcuni drone luminosi intorno a una piramide intermittente nell’avvolgente performance audio-visiva per i tipi di Saatchi & Saatchi. E che, a rimarcare la stretta intesa con l’arte visiva – e penso ai mondi inorganici e lisergici di Boyce e Murata –, fa il paio con la mastodontica installazione all’Hirshhorn Museum di Washington di Doug Aitken, dove OPN stravolge I Only Have Eyes for You. La romantica ballata degli anni Trenta sembra lasciarsi attraversare da quelle forze buie che restavano inudibili nella scrittura impregnata di sogno americano di Harry Warren e Al Dubin.
Tanto da far emergere chiaramente quel carattere patologico e giocoso di manipolatore e reiventore perché Lopatin sa bene che il suono non è mai solo un suono; piuttosto, invece, un universo fragile capace di evocare qualcosa di potente e indicibile - come un’immagine opaca che viene dal sogno dal passato dal futuro - e, al tempo stesso, di dissolverlo in imprendibili e malinconiche lontananze.

Discografia

Music for airports (Brian Eno 1978)

Selected ambient works ’85-’92 (Aphex Twin 1992)

Aguas da Amazonia (Philip Glass 1993-1999)

Replica (Oneothrix Point Never 2011)

R Plus Seven (Oneothrix Point Never 2013)

Commissions I (Oneothrix Point Never 2014)