Raffaele Cavalluzzi
Sebbene il citazionismo non sia sempre di per sé una garanzia rispetto all’esibizione di disturbanti manierismi, talora, a disegnare la cifra stilistica di un film, collabora la ricchezza o la complessità di adeguate citazioni. Il caso del film di François Ozon Nella casa (2012), ispirato alla pièce teatrale Il ragazzo dell’ultimo banco dello spagnolo Juan Mayorga, va però anche al di là di una cosiffatta tipologia, giacché quelle che sembrerebbero citazioni sono in realtà tasselli efficaci di un mosaico poietico, che si garantisce, trascendendoli e portandoli ad unità, una tenuta straordinariamente originale.
Nel film, il professore di letteratura Germain (Fabrice Luchini), significativamente reduce da una recente full immersion nella filosofia schopenhaueriana e a caccia di ordinari limiti di scrittura e di banalità dei generi, parte intanto dall’acutezza poetica di narratori che sono tra i classici della modernità (Flaubert e Dostoevskij, innanzitutto) per suggerire a uno dei suoi allievi, Claude Garcia (Ernst Umhauer), sia i parametri fondamentali di educazione estetica, che le stesse essenziali linee di sviluppo della storia che egli – già qualcosa di più di un aspirante scrittore proveniente da un contesto familiare dimesso e disastrato – fa coincidere a puntate con il racconto della sua esperienza di formazione postadolescenziale, portata avanti introducendosi giorno dopo giorno nella casa (avvertita come un sogno, sebbene i «sogni nelle notti di tempesta mettano paura ai bambini») e nella vita familiare del suo migliore amico Rapha. Nella narrazione, episodio per episodio, direttamente portato a conoscenza via via di Germain e di sua moglie (curatrice in difficoltà di una galleria d’arte contemporanea), si incrociano il tema del bisogno della madre da parte del ragazzo, e la carenza della paternità artistica e biologica del professore. Il discorso, intanto, anche dietro l’influenza dei su nominati classici letterari, deriva dalle forme di rappresentazione filmica canonizzate dai maestri della Nouvelle Vague, a cominciare da Eric Rohmer. Di lui sono infatti, ad esempio, la grammatica e perfino la sintassi del narrare, affidata alla voce fuori campo di Claude. Nello stesso tempo, la storia delle due donne della trama, frustrate e deluse dai rispettivi ménage familiari, e l’ambientazione nella provincia banale della piccola borghesia francese, portano lo stampo di un sapido Chabrol (da cui discende a un certo punto anche la possibile soluzione in thriller del plot). Nel carattere del sedicenne protagonista si sente poi l’influenza sia della malvagità degli adolescenti di Haneke, sia, per tornare alla Nouvelle Vague, dell’eco degli acerbi esordi alla vita adulta coltivati dal primo Truffaut. E non manca il voyeurismo di Hitchcock, mentre, a un certo punto della trama, interviene, a valido sostegno formale dell’ambigua moralità della storia, un surrealismo straniante alla Buñuel. Si aggiungano infine i riferimenti letterari al giovane Törless di Musil e all’Holden di Salinger.
Nella casa è insomma, oltre che, per Claude, un’intrigante storia di doppia seduzione (di Esther – Emmanuelle Seigner –, la madre del suo amico, e di Jeanne – Kristin Scott Thomas –, la moglie di Germain), un film che parla di bellezza attraverso la bellezza. E ciò avviene anche in virtù della presenza, nella casa di Rapha, di inquietanti riproduzioni di famose tele di un maestro dell’astrattismo come Paul Klee, del fascino cioè dell’arte come libera rappresentazione delle forme e delle idee, tra i temi apocalittici della speranza e della distruzione; o in virtù dell’arguto riferimento a tredici quadri di pittura verbale, cioè assolutamente virtuale e, perciò, perduta; o, ancora, in forza di un’indefinibile suggestiva arte pittorica con oggetto diafani, vaghissimi cieli cinesi. Allora, non a caso, per Claude e per Esther (dalla «pelle dolce da mordere») non sarà possibile continuare ad amarsi (e «danzare a piedi nudi sulle foglie ingiallite d’autunno») se non per l’incanto lirico di un ammaliante surrealismo alla maniera di Garcia Lorca. Poesia e vita si confondono alla fine intensamente, e aprono, nelle case abitate da donne e uomini, piccoli palcoscenici del vissuto che si moltiplicano all’infinito dinanzi all’avventura straordinaria di curiosità e sguardi perfettamente fantasiosi dell’artista, pronto a raccontare un’altra storia (ultima inquadratura del film).
Estrema annotazione: l’intrusione abusiva e senza tracce in un’abitazione è stata la peculiare maniera filmica degli imperdibili Following di Christopher Nolan e Ferro 3 – La casa vuota del sudcoreano Kim Ki-duk.
Filmografia
Ferro 3 – La casa vuota (3-Iron) (Kim Ki-duk 2004)
Following (Christopher Nolan 1998)
Nella casa (Dans la maison) (François Ozon 2012)
Teatrografia
Il ragazzo dell’ultimo banco (El chico de la última fila) (Juan Mayorga 2000)