Matteo Marelli

«Hitler è stato sconfitto ma come tutti i grandi mali non è stato ucciso, si è ucciso per non morire, per custodire l’orrendo segreto della sua nascita. Com’è stato possibile che il cancro Hitler sia entrato nel cuore di milioni di persone […]?» (Latella)
È questo che si chiede Antonio Latella in A.H.. Le due iniziali rimandano per l’appunto a colui che è ritenuto incarnazione novecentesca dell’orrore che ha segnato l'Europa.
Il regista, supportato dall’attore Francesco Manetti qui in un assolo interpretativo che lo fa di diritto coautore dello spettacolo, si interroga su tutte le varie metamorfosi che il male può attribuirsi, cercando allo stesso tempo di cogliere ciò che ne sta all’origine. E la risposta è nella menzogna.

«Quando l’uomo ha iniziato a mentire?». Semplice: «Quando ha iniziato a costruire parole, discorsi, lingue diverse» (Latella). La creazione di un linguaggio, per Tolkien, genera di per sé una mitologia. La realtà dunque altro non è che un costrutto semantico. Nella tradizione rabbinica, ad esempio, la Torah, e quindi il mondo, ha inizio con la ב, Beit, la seconda lettera dell’alfabeto ebraico, la prima del vocabolo Bereshit, che tradotto significa “in principio”. Indagare la parola, quindi, vuol dire scrutare il senso del mondo.
La lingua si è ben presto trasformata in strumento di potere: «Vi lascerete circoncidere la carne del vostro membro e ciò sarà il segno dell'alleanza tra me e voi […]; così la mia alleanza sussisterà nella vostra carne come alleanza perenne» (Genesi 17, 11-14). Una neolingua, come l’ha definita Orwell in 1984, cioè un complesso di parole d’ordine, di circonvoluzioni retoriche escogitate con un obiettivo preciso: “fabbricare” il consenso, ottenere il sostegno, la cieca obbedienza di un’opinione pubblica remissiva, cedevole alla logica di un’idea che si impone come direttrice di un cammino fatale, inevitabile, naturale e storico insieme. Ecco prendere forma la banalità del male, quella stupidità oltremodo scandalosa o «l’incurante superficialità o l’irrimediabile confusione o la ripetizione compiacente di verità diventate vuote e trite» (Arendt 2000, p. 43) che sta all’origine di ogni totalitarismo.

È a questo punto che il male, in una delle sue massime degenerazioni, adotta i tratti di Adolf Hitler:

«avvolto da una veste d’infamia/come offuscato dall’ombra di una nube,/un bugiardo dinanzi al popolo/s’erge presto al potere/grazie al gran numero d’aiutanti […]. Condividono la sua parola,/che lentamente si diffonde senza sosta […]/Prima mentiva solo quel cane,/adesso a mentire sono un migliaio d’aiutanti;/come rintonasse una tempesta». (Keller 2013)

Latella cerca di vedere realmente cosa (r)esiste al di là di quei baffetti che hanno fatto del Grande Dittatore un’icona, una maschera; e il corpo di Manetti si trasforma, si contorce, si plasma, in una prova d’attore che tocca i limiti del sacrificio fisico. È un continuo fluire di parole, e quindi di menzogne, a riempire lo spazio teatrale, mentre, in una mutazione quasi impercettibile, il carnefice diventa vittima, fino a mostrarsi muto, nudo, inerme.

Con A.H. Latella costringe a prendere consapevolezza della presenza del male nell’uomo (e dunque in ciascuno di noi) e nella storia. Ma lo spettacolo è anche, allo stesso tempo, una profonda riflessione sul teatro, mezzo che usa l’artificio, luogo in cui tutto può diventare vero, in cui tutto diventa verità perché è il luogo assoluto della messinscena. «Mi sono chiesto – ha dichiarato il regista – come fosse possibile trasmettere quest’idea: per me, quello della menzogna è un tema teatrale (oltre che politico e culturale) e oggi mi interessa dichiarare questa consapevolezza, come a dire allo spettatore: “accetta l’inganno, ma non farti ingannare”» (Latella in Conti – Ferraresi 2013).


Bibliografia

Arendt H. (2000): Vita activa. La condizione umana, Bompiani, Milano.


Sitografia

Conti E. – Ferraresi R. (2013): Intervista ad Antonio Latella, in «Il Tamburo di Kattrin»

Keller G. (2013): I calunniatori pubblici, in Bolino F. (2013): Una stupidità scandalosa: Hannah Arendt, in «Il volo della mente – D.blogautore.Repubblica.it»

Latella A.: A.H.





Titolo: A.H.

Regia: Antonio Latella

Drammaturgia: Federico Bellini e Antonio Latella
Con: Francesco Manetti
Produzione: stabilemobile – compagnia Antonio Latella
Debutto: Dro, Centrale Fies, nell’ambito di MEIN HERZ, 27 luglio 2013

Visto al Teatro OUTOFF