Luca Romano

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Nietzsche attraverso l'immagine è scisso in tre passaggi collegati tra loro attraverso tre figure essenziali tratte dall'opera del filosofo tedesco: sé come profeta, il superuomo e l'eterno ritorno. Ma la complessità del pensiero all'interno dei tre lavori cinematografici non è trascurata, ma al contrario amplificata in ogni singolo film. È un lavoro di ricerca sui testi, nel caso di Bressane (I giorni di Nietzsche a Torino, 2001) in cui l'accostamento delle parole – esclusivamente tratte dai lavori e dai carteggi di Nietzsche – hanno il supporto delle immagini per rappresentare la complessità stessa, attraverso il bilanciamento delle scene, il vorticare delle inquadrature e l'avvicinarsi agli oggetti. È una ricerca ripetutamente inappagata in Sokurov (Faust, 2011). È la ripetizione che ripete se stessa, è la fine del mondo, che la vanifica. È la scissione di un uomo paralizzato, il cui braccio mancante è la donna, parte di sé come figure di un unico progettarsi nel mondo in una ripetizione. È la donna che figlia della propria carne ne diventa parte inscindibile. È l'attesa della fine, eterna conciliazione estrema dell'Apollineo e del Dionisiaco.
«La parola dionisiaco – infatti – esprime un impulso all'unità, un andare al di là della persona, del quotidiano, della società, della realtà; un abisso dell'oblio, un dilatarsi appassionato e doloroso in stati d'animo più foschi, pieni, vaghi.» (Nietzsche F., 1992)

Un ballare nudi, un canto, la maschera che non copre il volto ma si mostra lontana, in quanto maschera, non maschera, si annulla: annuncia la copertura del volto già coperto, annuncia la sua esistenza, la distanza dal volto, qui un volto divelto. Nel film di Bressane (I giorni di Nietzsche a Torino, 2001) le immagini si avvicinano, Torino è fatta di milioni di facciate di palazzi e di strade, potrebbe anche non esser Torino, potrebbe essere la maschera di una città, potrebbe esser Nietzsche stesso che si frammenta in palazzi, strade, finestre, in un esser al di là della persona, del quotidiano, della società.
Le immagini rifuggono una visione universale, restituendo la complessità minimale del particolare. Questo allontanarsi dalla visione globale della città, delle situazioni, del soggetto Nietzsche, è un allontanarsi dalla possibilità di sistematizzare il pensiero stesso, quasi, paradossalmente, una volontà di incapacità. Non c'è un dialogo, un film in cui tutti i testi sono scritti da Nietzsche stesso, presi dai suoi carteggi, dalla sua opera. Il filosofo tedesco è maschera muta non dialogante, è chiuso in sé, mostra la sua maschera e l'uva, sorride alla donna che gli vende l'uva, balla nudo, talvolta dialoga, ma la voce narrante, intanto, continua il racconto di un'esistenza introiettante, quasi un assorbire esistenziale, un dire di sì volutamente passivizzante e al contempo attivamente ricettivo; e così l'unica traccia dei dialoghi rimane all'interno del discorso interiore.

I testi di Nietzsche, scelti da Bressane, lo mostrano profeta, come profeta si mostra lo Zarathustra, come profeta senza un messaggio da profetizzare, come profeta che non vuol esser profeta, nega se stesso, conosce il futuro per mezzo di un Dio, di una ragione altra che evidentemente conosce il futuro; egli annuncia la venuta di un essere nuovo (lo Übermensch, come vedremo poi il Faust, uomo al di là dell'uomo alla ricerca del limite dell'uomo stesso; limite costantemente assente o costantemente infranto) ma contemporaneamente annuncia anche la morte dello stesso Dio di cui Zarathustra è profeta.

In [e per] tutto questo Nietzsche balla. Nietzsche «lavorò vent'anni per convincere sé e i suoi contemporanei – alla fine ci riuscì; ma intanto c'erano riusciti anche i suoi avversari: e lui non era più convinto di sé» (Nietzsche F., 1965). La sua maschera abbandona il suo volto, il volto già donato totalmente a Dionisio, un volto che balla al ritmo di una musica cantata, ripetuta, strutturata, una musica che per sua natura è Apollinea, un uomo totalmente donato all'Apollineo. È l'apollineo che si intreccia e concede il dionisiaco, è il dionisiaco che si realizza attraverso l'apollineo. È lo scandalo nella famiglia che lo ospita, è il ballare al di là della vita stessa, nel rumore, nella confusione, nell'attimo.

Un attimo inseguito dal Dott. Faust (Sokurov, 2011) inseguito nel rumore che avvolge tutto, lo confonde, persone che passano, voci che coprono quelle dei protagonisti, cani che abbaiano, la distrazione totale del mondo che ignora, che è una macchina da analizzare scientificamente; un medico, la scienza stessa che cede al dionisiaco, insegue una donna. La ricerca di un'anima che sembra trovarsi al di fuori di sé, nel corpo di chissà chi, o forse nel mondo, o forse nella ricerca stessa. I dialoghi qui sono sempre contaminati dall'esterno (la facoltà di pensiero è ben diversa rispetto al lavoro compiuto da Bressane in cui invece non vi sono affatto dialoghi. In Bressane il pensiero è in costante dialogo con se stesso, chiuso; qui il pensiero è in costante distrazione, si realizza come coperta sul mondo), non c'è nessuna possibilità di pensare senza il mondo, forse è il mondo stesso che pensa attraverso l'uomo. Ma è lo stesso mondo che insegue Margarete, che la trasforma, che la deforma, la bellezza che decade e cede allo sguardo del medico, allo sguardo del demonio, allo sguardo dell'esistenza stessa. Fa parte del viaggio del dott. Faust, che abbandona ogni morale, perché ogni morale è contronatura, e la natura si «manifesta così presto, così non richiesta, così inarrestabile, così in contrasto con l'ambiente, l'età, l'esempio, l'origine, che avrei quasi il diritto a chiamarla il mio "a priori" - la mia curiosità altrettanto che il mio sospetto dovettero appuntarsi per tempo sulla questione: quale origine abbia propriamente il nostro bene e male?» (Nietzsche F., 1968) sin dove la natura si manifesta? Il Faust non ha limiti, di nessun tipo, è il mondo che non ha limiti di nessun tipo, è l'attimo libero finalmente da ogni bene e male, che non ha limiti. È tutto in un al di là dell'uomo, un cedere totale all'al di là dell'esistenza, al desiderio.

Ma dove questa esistenza senza limiti può portare? Al suono di una frusta, Nietzsche è il presente costantemente non citato di Bela Tarr (The Turin Horse, 2011). Il suono di una frusta che non sentiamo, che cede il passo al vento, alla natura che si manifesta inarrestabile. Il rumore di un uomo che abbraccia un cavallo al di fuori della narrazione filmica, un cavallo che si ferma, rifiuta la vita, facendo ritornare la figura del profeta, che però non annuncia con il verbo; alla fine non sarà il verbo, non sarà l'atto, alla fine sarà il silenzio, la stasi, il buio. Il cavallo non mangia. Le scene si ripetono ancora, e ancora, poche interruzioni ad una vita essenziale, ridotta al nulla, ridotta ad uno scenario scarno, minimale.

Il vento soffia sulla presenza del legno e della pietra. Ma il vento non può che soffiare in circolo, tornare sempre, il vento non può che consumare, erodere sino alla fine. L'eterno ritorno diventa assolutamente necessario in uno spazio desertico in cui l'azione non può che ripetersi, nonostante il libero arbitrio, nonostante la scelta, nonostante la volontà. In uno scenario in cui non c'è più niente oltre l'esistenza essenziale: acqua, patate, legna che arde e sonno. L'uomo non ha più niente da conoscere. La distanza tra la vita del cavallo e quella dell'uomo si assottiglia e saranno i due uomini protagonisti del film ad avvicinarsi all'animale.

Sembra così che un uomo, una donna ed un cavallo abbiano scoperto la conoscenza, un minuto che ritorna, si ripete, il minuto eterno più tracotante dell'esistenza stessa. «In un angolo remoto dell'universo scintillante e diffuso attraverso infiniti sistemi solari c'era una volta un astro, su cui animali intelligenti scoprirono la conoscenza. Fu il minuto più tracotante e più menzognero della 'storia del mondo': ma tutto ciò durò soltanto un minuto. Dopo pochi respiri della natura, la stella si irrigidì e gli animali intelligenti dovettero morire» (Nietzsche F., 1973). La luce si spegne e le candele non si accendono più, la legna smette di ardere, dalle finestre non entra luce. Alla fine sarà il buio.


Bibliografia

Nietzsche F. (1968): Genealogia della morale, trad. it. di Colli-Montinari, aforisma 3 prefazione, Adelphi, Milano.

Nietzsche F. (1992): La volontà di potenza, trad. it. di A. Treves, aforisma 1050, Bompiani, Milano.

Nietzsche F. (1973): Su verità e menzogna in senso extramorale, a cura di M. Montinari, Adelphi, Milano.

Nietzsche F. (1965): Umano troppo umano II, trad. it. di Colli-Montinari, aforisma 193, Adelphi, Milano.


Filmografia

I giorni di Nietzsche a Torino (Dias de Nietzsche em Turim) (Bressane, 2001)

Faust (Sokurov, 2011)

The Turin Horse (A torinói ló) (Bela Tarr, 2011)