Matteo Marelli

jonesHa ragione Olivier Smolders quando afferma che «la pornografia è il più cinematografico di tutti i generi cinematografici». Perché soddisfa, fino all’indigestione, la pulsione scopica dello sguardo spettatoriale, reso soggetto onnipercipiente, messo nella condizione di vedere tutto, col rischio di spingersi fin dove non c’è più niente da vedere, dentro l’orifizio spalancato, per disperdersi, così, dove nessuna visione è (forse) più possibile. In questo senso il cinema porno è etimologicamente osceno, poiché in esso solo l’ob scaena, ovvero "ciò che non si può mostrare apertamente sulla scena" risulta pertinente alla rappresentazione.
 Quella pornografica è una poetica dell’eccesso. Eccesso di visione: per la volontà di mostrare ciò che i canoni del pudore non vorrebbero venisse esibito. Eccesso di spettacolarità e di invenzione: perché nell’ansia realistica di rivelazione la pornografia va al di là del verosimile; le posizioni sono condizionate dalla presenza di un altro fantasmatico, che è l’occhio della macchina da presa; quindi le improbabili combinazioni posturali trovano una loro giustificazione se considerate in funzione di questo centro ideale della messinscena.


Ormai libera di qualsivoglia pretesto narrativo, la pornografia contemporanea ha ormai raggiunto la propria forma basica oltre la quale probabilmente rimane soltanto la definitiva immersione orefiziale nella vuotezza accecante. A questa scelta tecnico-linguistica corrisponde la concentrazione spaziale dello sguardo su una superficie visiva che si fa sempre più ridotta. Come scrive Giuseppe Boccassini, nelle note di regia di Osceno, «è il corpo stesso all’interno del porno a costituire lo scenario e lo spazio dell’azione. L’attore si limita ad una funzione performativa di carattere meccanico, compiendo l’azione drammatica senza introspezione psicologica». Azzardando una lettura comparativa, il porno è il corrispondente dello slapstick: un uomo di cui non sappiamo nulla scivola su una buccia di banana e noi ridiamo; due individui di cui non sappiamo nulla, al di là di un evidente  ipercinetismo del fottere, scopano e noi ci eccitiamo. Gli attori, o più giustamente i performer, si identificano a tal punto con l’azione che compiono, che il porno non ha nemmeno più tanto a che vedere con i corpi, ma con oggetti parziali che svolgono un lavoro e assolvono una funzione; è la ripetizione coatta di un gesto vuoto, de-individualizzato. Atto sessuale raffigurato in sé e per sé, senza alcuna contaminazione psicologico-inibitoria. La valenza ipnotica dei prolungati primi piani della penetrazione ha il preciso obiettivo di manifestare questa scissione, perfettamente riuscita, tra l’azione e la persona che la compie.

 Il corpo pornografico diventa terreno di tagli e di manipolazioni visive; spesso ridotto a genitalità, questo è smembrato, sezionabile, espropriato della sua dimensione originaria. Viene meno la concezione anatomo-sinneddotica: la parte non sta per il tutto, né il tutto sta a rappresentare la parte. La parte è assolutamente autosufficiente. È un corpo privato di individualità. Si è messi di fronte, per dirla alla Carmelo Bene, alla dissoluzione della soggettività e all’oblio dell’identità ormai ridotta alla propria «oggettità carnale». La pornografia è dunque supremo scacco all’arroganza dell’io, visione puramente materialistica della vita, fondata sulle potenzialità edoniche del corpo, privato dello spazio psichico e delle sue strutture introiettate. Da questo punto di vista l’attore porno è l’epitome dell’uomo-macchina e dietro di esso aleggia sempre l’oppressione meccanica della catena di montaggio.
 Il contesto è nullificato, privo di spazialità e di temporalità, pieno all’infinito di gesti sessuali che non possono cessare perché, altrimenti, ristabilirebbero una scansione temporale. E «Pasolini, al solito, [lo] capisce molto bene. In Salò, la deriva pornografica, e mediatica, del potere piccolo borghese. […] il massacro goduto a turno col cannocchiale dai quattro reggenti è precisamente […] pura pornografia dell’evento, privato […] di ogni contesto» (De Bernardis 2002, p. 84).

 Pornografia quindi come il più cinematografico dei generi, e allo stesso tempo come il genere cinematografico più codificato, e la sua frammentazione in infiniti sotto-generi è una prova di questa codificazione. L’industria pornografica contemporanea è caratterizzata da una produzione seriale di estrema stereotipia portatrice di visioni irrimediabilmente pre-connotate e ordinate, di una rappresentazione eminentemente denotativa, constativa; censisce i corpi e i comportamenti in modo disadorno, meccanico, numerico; si cura solo degli oggetti del godimento immediato, del consumo edonista. Il ritmo narrativo ed enunciativo è strettamente legato alla materia rappresentata.
 Un’analisi degli elementi semantici e sintattici del porno evidenzia una struttura iterativa che si organizza attorno a scene che si susseguono per accumulo. È un genere formulaico, vale a dire fondato su un numero relativamente limitato di elementi che si ripetono, fino a diventare formule precostituite: le tecniche utilizzate nella descrizione delle varie sessioni coitali puntano a rendere vario ciò che è costante e diverso ciò che è comune per non incorrere nella noia. È celebrazione di un rituale ormai standardizzato e sclerotizzato che ha il suo climax nel raggiungimento dell’eiaculazione. Prevalente, dunque, quella maschile data l’inevitabile visibilità e spettacolarità. Si assiste ad una consequenzialità combinatoria di numeri sessuali, dove la frequenza iterativa procede a tempo di crescendo verso lo sbocco orgasmico, che deve apparire come conseguenza necessaria e soddisfacente delle mosse attivate.

 La vertiginosa lista di sottogeneri che dà alla pornografia un’organizzazione rizomatica è conseguenza di lambiccate predilezioni feticistiche. Per dirla alla Bataille, è scienza che congela il reale dentro le sue formule; una scientia sexualis, come l’ha definita Foucault, che procede secondo un movimento che fagocita tutto ciò che ruota attorno al sesso, appiattendolo su un orizzonte discorsivo totalmente controllabile, dove non resta più alcuno spazio per la sfera del non detto e il piacere e la carne possono essere pensati solo all’interno di una sfera discorsiva condivisa e ampiamente accettata. Questa classificazione del sesso nelle sue molteplici forme è a monte di quella tassonomia delle piccole perversioni in cui si articola il porno.
 Quasi una sorta di disciplina, di educazione, componenti fondanti di quella che Foucault chiama "anatomo-politica del corpo umano", una vera e propria tecnologia disciplinare per mezzo della quale riuscire a controllare gli elementi più sottili del corpo sociale, raggiungere gli stessi atomi sociali, cioè gli individui - «perseguire il piacere è uno dei principali modi di edificare la nostra soggettività in forme autorizzate» (Fisher 2009).

 Quindi anche la pornografia mainstream rientra in questo concorso di colpa, «là dove […] è permesso qualcosa si può fare solo quella cosa. [...] É una libertà per modo di dire, perché deve essere quella. E poi è obbligatoria: appunto, siccome è concessa, è diventata obbligatoria» (Pasolini in Siti – Zabagli 2001, p. 3020); è riflesso delle logiche neoliberiste. Nel porno tutto è reificato al grado zero della legge del profitto: il corpo è una merce e come tale viene trattato, secondo la classica regola della domanda e dell’offerta. Nell’immaginario pornografico l’uomo è ridotto a macchina desiderante, per lui non c’è più piacere o motivazione contingente, ma soltanto possesso del godimento, chiara metafora del potere che si ciba di corpi altrui. Le dinamiche di umiliazione e dominio possono permetterci di comprendere il flusso di potere all’interno del sistema sociale. Non bisogna soffermarsi tanto sul grado di indecenza della rappresentazione, ma sul grado di violenza. Proseguendo lungo questo ragionamento il porno può quindi venir letto come la più perfetta forma di consumismo. È «la maturità ultima dell’Occidente. L’edonismo come diritto» (Mancassola 2012).


Bibliografia

De Bernardis F. (2002): L’io ob-sceno: nota sulla trasmissione video e sull’installazione video in Barisone L. – Chatrian C. – Nazzaro G.A. (a cura di): Io, un altro: strategie di uno sguardo filmante alla scoperta del mondo, Effatà Editrice, Cantalupa (Torino).

Foucault M. (2001): La volontà di sapere, Feltrinelli, Milano.

Giordano V. – Mizzella S. (a cura di) (2006): Aspettando il nemico. Percorsi dell’immaginario e del corpo, Meltemi editore, Roma.
Siti W. – Zabagli F. (a cura di) (2001): Pasolini per il cinema, Mondadori, Milano..


Filmografia

Osceno (Giuseppe Boccassini 2012)

Salò o le 120 giornate di sodoma (Pier Paolo Pasolini 1975)


Sitografia

Boccassini G., Note di regia di “Osceno”, http://www.cinemaitaliano.info/news/16431/note-di-regia-di-osceno.html

Fischer M. (2009): Capitalist Realism. Is There No Alternative? Zero Books, Hants, SO24 0BE, UK, http://www.haraldpeterstrom.com/content/5.pdfs/Mark%20Fisher%20%E2%80%93%20Capitalist%20Realism,%20Is%20There%20No%20Alternative.pdf

Mancassola M. (2012): La lezione del porno, «Orwell», 3 novembre, http://www.marcomancassola.com

Pesce A. (a cura di): Carmelo Bene, http://www.filosofico.net/carmelobene.htm