Frances-HaTra l’altro Noah Baumbach implementa le potenzialità luminose di quella Greta Gerwin che già risplendeva ne Lo Stravagante mondo di Greenberg, nonostante una goffaggine che lì era marcata dal suo sovrappeso, una cacofonia che per Baumbach era essenziale a puntellare la cisposità, la faticosa noia della realtà in cui si muoveva lo stesso Greenberg, antieroe verso cui indirizzare più risentimento che partecipazione.


Mentre era Florence, fragile eppure coriacea, che irradiava un incanto ora incarnato con ancora maggiore grazia da Frances, nonostante lo snellimento della Gerwin non riduca la sua tenera goffaggine e il dinoccolamento, addirittura il suo maschile incedere, eppure leggero e armonico nella danza. Tutto un film di movimento, di fascinosa dinamica di un corpo e di un volto, a cui il palinsesto rimodulato di una nouvelle vague addirittura citata nelle musiche (soprattutto de I 400 colpi, se non mi sbaglio) ricrea il senso di armonia plastica e del relativo innamoramento (Baumbach ci mette più cuore che in passato) per quel maldestro e sinuoso fantasma biondo che resiste, da sola, e neppure piange.

Ma Frances Ha (nella sezione “Festa Mobile”) è solo la prima tappa di una variazione sul tema della nouvelle vague che in effetti torna in 2 autunni 3 inverni (titolo non casualmente rohmeriano) di Sébastien Betbeder, che riesce anche ad uscire dagli schemi citazionisti e dai bozzetti truffautiani, concentrandosi sugli occhi di Armand che danno sangue e lacrime alle 4 notti di un sognatore (Bresson è presente non solo nelle citazioni esplicite, parlate, ma proprio nell’articolazione di certi spazi asettici che circondano il protagonista, e il suo rapportarvisi malinconico), e ai contesti in cui s’accende l’amore, lo si sospende, lo si finisce.