Luigi Coluccio
Suad è una giovane donna che passa tutto il suo tempo a casa, impegnata come è ad accudire il vecchio padre colpito da un ictus e oramai incapace di svolgere ogni minima funzione vitale. La madre si divide tra l’assistenza del marito e il suo lavoro all’ospedale. Un pomeriggio, Suad esce…
C’è un momento, un momento che si fa come dissolvenza verso un altro film, un’altra vita, un’altra storia, in cui Suad sente ed è attratta da canti di persone che non vedremo mai, così attraversa un emporio di vasi e si siede sulla riva notturna del Nilo finché questa non diventa diurna, dove si ritroverà, ancora in un altro luogo ma ancora nella stessa storia, a fissare nell’alba un piccolo specchio d’acqua che circonda un antico edificio. Ha camminato da El Hussein fin qui, per poi andare a casa, ma non importa dove siano né El Hussein né casa…
Nel 2007 veniva pubblicato il volume L’incontro delle civiltà, dove Emmanuel Todd e Youssef Courbage, comparando tra le – tante – altre cose i tassi di alfabetizzazione e fecondità, riuscivano a tracciare un grafico statistico e letterario di quanto sarebbe avvenuto quattro anni dopo con la caduta di Ben Ali, piazza Tahrir, la guerra in Libia. Dati a cascata che offrivano una modellizzazione del Maghreb, una raffigurazione per categorie e insiemi che ha permesso ai due studiosi di essere un passo avanti e scartare le agenzie governative statunitensi e i regimi trentennali che si affacciavano sul Mediterraneo. Ma a lato, ma dopo? Ma negli spazi interstiziali di decimali e tabelle? Cosa restava fuori dal computo, cosa resta, del dato umano, al di là di un chiaro ed esatto e utile orizzonte geo-politico?
Una risposta, una visione, la dà la veterana Hala Lofty, dove l’accezione non cade di certo sui suoi trenta anni, o sui documentari indipendenti o il lavoro presso Al Jazeera, no, veterana in quanto già con questa opera prima portatrice sana di un’idea di cinema che ha peso, forma e colore, che ha una direzione di partenza e una di arrivo, che ha una sua autosufficiente collocazione all’interno del complesso discorso filmico post-rivoluzioni arabe. La Lofty lavora di teoria e di forma, spaziando la superficie della storia e delle immagini in due contrapposti eppur dipendenti luoghi, la casa della prima parte e la città della seconda. Ma il tutto è sbilanciato, invertito della sua stessa polarità: l’abitazione è una scatola cinese, con dentro eventi, dialoghi, persone; Il Cairo è piatta, orizzontale, da attraversare deambulando e capace di dare ad ognuno sprazzi di intimità – anche forzata. Nella prima sezione l’attenzione è meccanica, i gesti sono rituali, e solo gli ultimi scalpiti di rabbia e sofferenza spezzano il ritmo puramente sonoro dell’acqua che scorre da un lavandino, di un materasso da sbattere, di una ferita da curare. La regista materializza uno spazio che è continuamente e razionalmente ridondante, un trompe-l'œil che dà sempre su altre porte, su altre stanze, con unico centro centrifugo e centripeto il corpo del padre, attorno al quale madre e figlia, oggetti, cinepresa devono girare attorno per avvicinarsi o allontanarsi. La Lofty espugna questo luogo impostando le inquadrature sempre di taglio, di lato, donando prospettiva e angoli ad un ambiente dominato dalla fotografia pastosa e bi-croma del fratello Mohammed Lofty. E quando Suad decide finalmente di uscire, la profondità di sguardo si appiattisce, si dilata ai lati e paradossalmente Il Cairo diviene vicoli a lato, autobus-taxi, periferia con accanto solo altra periferia. Ecco perché non è importante dove stia El Hussein o casa di Suad, tutto è orizzontale, tutto è nullo…
Tra i dati che rimangono fuori da ogni rapporto e grafico c’è n’è uno ingombrante, pesante da spostare e a cui rapportarsi. Ma non è il padre, metafora minuta e precisa dell’Egitto faraonico amico di Israele e Usa, con un esercito superiore a diversi paesi occidentali. È la madre, vestigia non rese anonime dall’oblio dell’ictus e della rivoluzione, viso contratto e occhi silenziosi, sempre stanca, sempre pensante, sempre in attesa. Che è dilaniata tra il passato e il futuro, che accumula il non-detto mortifero del marito e il non-detto vitale della figlia. Quella Suad che prima prigioniera della casa, e poi prigioniera della città, rimane fuori la notte per ritrovarsi a guardare l’intima alba.
Bibliografia
Todd E., Courbage Y. (2007): L'incontro delle civiltà, Marco Tropea Editore, Milano
Titolo originale: Al-khoroug lel-nahar
Anno: 2012
Durata: 96
Origine: EGITTO, ARABIA SAUDITA
Colore: C
Genere: DRAMMATICO
Specifiche tecniche: DCP (1:1.85)
Produzione: HALA LOTFY PER HASSALA PRODUCTIONS, MANAL KHALIL PER NY CONSULTANCY
Regia: Hala Lotfy
Attori: Donia Maher(Suad); Salma Al-Najjar (Madre); Ahmad Lutfi (Padre); Doaa Oreyqat (Ragazza sul minibus); Ahmad Sharaf (Autista minibus); Galal Beheiri (Soldato); Nadia Al-Gindi (Infermiera).
Sceneggiatura: Hala Lotfy
Fotografia: Mahmoud Lotfi
Montaggio: Heba Othman
Scenografia: Chahira Mouchir
Costumi: Naira Dahshoury
http://www.youtube.com/watch?v=7moFYL5kTgo