the_nine_muses«Ha da passa’ ‘a nuttata»
(Eduardo De Filippo, Napoli milionaria!)

Che cos’è il cinema? È sempre utile partire da buone domande per poter elaborare delle risposte adeguate. Questo interrogativo, così carico di echi baziniani, torna a riproporsi con urgenza, perché il cinema, da “occhio del Novecento”, mezzo espressivo primario, serbatoio di tensioni storiche e mitologie popolari, di ossessioni morali e grovigli sociali, si trova oggi ad occupare una posizione marginale in un paesaggio che privilegia altri media. «Ciò che caratterizza il cinema dell’epoca postmoderna è il fatto di non essere più il medium trainante, ma il tassello di un sistema più vasto» (Buccheri 2010, p. 124). È quindi il contesto mediale che impone di porci il dubbio ontologico sul senso attuale del cinema: quale spazio rimane alla settima arte in un’epoca in cui «ogni immagine scivola nelle altre», per dirla con Deleuze? Che cos’è successo al cinema come fenomeno artistico, culturale, sociale?


Il cinema sta vivendo una fortissima crisi d’identità, sembra non avere più la forza intellettuale autonoma per veicolare i temi di un’ampia discussione. È estromesso dal dibattito culturale, che poi significa dalla scena mediatica. Oggi non si combatte più nessuna battaglia in difesa di un’idea di cinema, né si crede più, come diceva Truffaut, che un’idea di cinema equivalga ad un’idea di mondo. I film oggi vengono discussi sui giornali solo quando assurgono al rango di eventi, diventano pretesti per parlare d’altro, e tutto questo causa la definitiva marginalizzazione della critica e della cinefilia.

Non so quanti se ne siano accorti, ma attorno al cinema si sta consumando una delle molte battaglie cruciali di questi tempi grami: i discorsi “istituzionali” della critica e dell’accademia non hanno più alcuna presa, nemmeno in negativo (come rimosso o cattiva coscienza) sulla classe media, che semplicemente li considera delegittimati, cioè privi di qualsiasi autorità morale e intellettuale. A dare senso e identità alla neoborghesia, infatti, sono i discorsi “commerciali” dei mass media (in primis televisione e quotidiani) che rappresentano l’unico vero centro di elaborazione del gusto e della sensibilità estetica (ivi, p. 273).
Si è affermata la legittimità del giudizio arbitrario, settario e fazioso, di un’idea della critica come atto libero e non specializzato. L’esercizio critico risulta defraudato di ogni valenza e specificità a favore del trionfo della tuttologia incompetente. Il cinema è vittima dell’ «ennesimo avallo del principio secondo cui di cinema (e solo di cinema) può autorevolmente parlare chiunque, perché il cinema […] non ha e non merita connotazioni culturali o linguistiche» (Pugliese 1991, p. 3). È quindi più che mai necessario tenere fermo a mente l’ammonimento di Roberto Pugliese:

Il critico non fa il cinema, ci va. La sua grandezza (non il suo limite) è questa: teniamocela stretta, e se possiamo facciamone una scienza. Il più possibile esclusiva e difficile, cercando nel contempo di fornire a quanti più possibile gli strumenti per accedervi. Non m’interessa di avere a disposizione un anarcocritico naïf ma imbecille, preferisco un veterocritico erudito ma intelligente… E guardo con autentico orrore al momento in cui […] mille spettatori “ingenui” riprenderanno la parola […] perché saranno mille nuove voci inutili, mille nuove affermazioni del nulla, mille probabili prove d’arroganza (Pugliese 1991, p. 5).

Le parole di Pugliese sono da prendere con cautela, perché dietro queste si può celare un’idea di critica iperspecializzata, chiusa in un teoricismo ombelicale, elaborante una riflessione condannata alla minorità culturale. Restano comunque un severo, ma altrettanto utile, avvertimento nei confronti dei limiti della cosiddetta critica “semaforica”, che si limita a orientare le scelte di consumo come un consiglio per gli acquisti, e della pochezza della critica demagogicamente “dalla parte del pubblico”.
Il cinema, per come lo abbiamo conosciuto, cioè spettacolo collettivo di grande incidenza sull’immaginario comune, sta sparendo. A contribuire a questa condizione di smarrimento c’è anche, come evidenzia Francesco Casetti, da un lato l’affermarsi di nuovi impianti spaziali (pensiamo ad esempio al trasferimento della visione filmica in ambito domestico, e a come questo ambito trasformi le relazioni tra le diverse componenti), dall’altro la perdita di un preciso aggancio spaziale (pensiamo alla visione filmica via computer, e al modo in cui essa “azzera” il senso del luogo).

Ma del resto è stata un’arte postuma già dai tempi dell’involontaria boutade dei Lumière sull’invenzione senza futuro. Il cinema, alla fine, non è mai morto, così come non è mai esistito in una sua fisionomia immutabile. Adesso appare senza dubbio come un  mezzo di comunicazione sconfitto, residuale; ma proprio per questa sua momentanea posizione di marginalità può paradossalmente rappresentare un interessante punto di osservazione sull’universo in mutazione dei media. Ciò che caratterizza il cinema attuale è un’estrema varietà di formati, ma soprattutto una tensione verso forme testuali aperte e flessibili, come il flusso televisivo e l’ipertesto informatico; si rivolge con disinvoltura alle contaminazioni con le altre espressioni visive, dal videoclip alla televisione, dalla pubblicità al web.

La 67° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia ha deciso di dar conto dell’attuale condizione metamorfica del cinema, dedicando la “Sezione Orizzonti” a tutto il cinema “fuori formato”, non rispondente alle logiche tradizionali e di mercato. Una linea di programma senza distinzioni di genere e durata, dedicata a opere che esprimono la ridefinizione continua del cinema all’interno del continente visivo contemporaneo. Un’iniziativa a cui va dato atto di aver creato un importante precedente almeno per quanto concerne il riconoscimento e la visibilità di nuovi linguaggi e delle più audaci sperimentazioni. Convinti che il cinema non abbia alcuna purezza classica da preservare, gli organizzatori dell’ultima Mostra del Cinema di Venezia hanno fatto di “Orizzonti” un crocevia di immaginari e forme, un’intersezione radicale delle nuove possibilità della visione.

A monte della sezione c’è l’intento di ridare lustro all’esigenza primaria del cinema: affermarsi come arte della visione, non della narrazione per immagini. Dunque il fil rouge che annoda tra loro i film selezionati è il rifiuto, di gran parte di questi, di una forma dittatorialmente narrativa. Ad essere preferite sono invece strutture che prescindono dal solito diktat della successione cronologica e consequenziale degli eventi. In “Orizzonti” è prevalsa la tendenza alla translinguisticità, la manomissione degli apparati di produzione dell’immagine, al fine di saggiarne limiti e possibilità; si è affermata un’idea di visione come atto anarchico, e soprattutto il diritto/dovere di immaginare un altro cinema.

La critica delle strutture linguistiche subordinate alla narratività spettacolare costituisce quindi una qualità strutturale essenziale di un’immaginazione differente. L’immaginario emerso è risultato estremamente articolato e molteplice, e attesta linee di fuga e svincolamenti dell’invenzione singolari e, ovviamente, diversi da film a film. L’unità minima, il denominatore comune essenziale è costituito dalla negazione. Disarticolare i codici, rovesciare i modelli narrativi imposti dall’universo simbolico ufficiale significa mettere in moto un processo di diserzione dallo stereotipo. Il rifiuto della rappresentatività e della narratività lineare ha poi un’evidenza e una forza d’impatto che lo spettatore percepisce immediatamente. Il pubblico della “Sezione Orizzonti” s’è trovato davanti alla necessità di costruire modelli di decodificazione e lettura diversi da quelli a cui è stato abituato.

I film di questa sezione, in qualunque modo si siano presentati, hanno proposto una comunicazione complessa che ha richiesto allo spettatore di mettere in discussione i propri atteggiamenti percettivi; hanno chiesto al pubblico di adottare un’attitudine attiva, dinamica, di riorganizzare i segni filmici secondo modalità di interrelazione più complesse che nei film narrativi. I film della “Sezione Orizzonti” ricordano che è possibile produrre altri mondi dell’immagine, aprire indefinitamente l’immaginario visivo-cinetico, costruire ritmi visivi nuovi. Intervenire sull’orizzonte della visione per sperimentare un modo differente di guardare e di percepire il mondo e di organizzare la percezione. Come detto anche da Marco Müller: «il “cinema” non può essere solo impronta diretta del mondo. Esiste come “arte” quando lavora incessantemente anche a scucire la realtà, smentendo così la pretesa che la sua essenza sia solo documentaria».

La produzione del visivo come serie narrativa, organizzazione narrativa dei materiali, come conoscenza narrativa del visibile costituisce evidentemente un macroschema di strutturazione della percezione, un sovra modello di sapere: significa vedere i materiali filmici e percepirli immediatamente non già come catena di informazioni o organismi esteticamente strutturati, ma come storia, come enamento di unità diegetiche (Bertetto 1983, p. 15).
Diversi lavori della sezione in questione hanno contrapposto flussi discontinui di immagini alla continuità del flusso narrativo cercando di costruire non solo una nuova opera, ma una nuova regola, seppur difforme, anomala, iconoclasta, di produrre significazione. Una critica del vedere, del linguaggio iconico, del cinema come finestra sul mondo, del cinema come rappresentazione della realtà. Dietro questa lettura, infatti, per cui i segni (le immagini) si identificano con i loro referenti (la “realtà” rappresentata) in modo immediato, il cinema appare e si presenta come lingua comune, lingua naturale, immediatamente fruibile perché aderente alle cose, unita al mondo senza mediazioni, cioè senza una spazio critico capace di interrompere l’automatismo che associa gli elementi comunicativi a significati ideologici precostituiti. Dunque critica del cinema ufficiale in quanto aggressiva forma di omogeneizzazione dell’immaginario.

Bisogna ideologizzare, bisogna deontologizzare. Le tecniche audiovisive sono gran parte ormai del nostro mondo, ossia del mondo del neocapitalismo tecnico che va avanti, e la cui tendenza è rendere le sue tecniche, appunto, aideologiche e ontologiche; renderle tacite e irrelate; renderle abitudini; renderle forme religiose. Noi siamo degli umanisti laici, o, almeno dei platonici non misologi, dobbiamo batterci, dunque, per demistificare l’«innocenza della tecnica», fino all’ultimo sangue (Pasolini 2003, p. 226).
Quello che si è venuto a profilare è una sorta di cinema espanso, multimediale e ipertestuale che si avvicina più alla sperimentazione visiva che al cinema classico. Il piano dell’espressione di questi film è sensibile ad una molteplicità di forme e sostanze che offrono un punto di vista alternativo al modo odierno di intendere e fare cinema. I film qui presentati cercano di uscire dall’orizzonte cinematografico, di sperimentare nuove strade senza vietarsi il rapporto con il pubblico. Quello della “Sezione Orizzonti” è un cinema che più che mettersi a giocare, si mette in gioco.
Per provare ad orientarsi in questo mare magnum gli organizzatori hanno tracciato dieci percorsi possibili di attraversamento dei territori che portano ai nuovi Orizzonti.

 


ITINERARIO 1. Fare testo
Il rapporto tra immagine e testo (voce fuori campo) rappresenta uno dei mezzi espressivi più fervidi del cinema.
Lontani da ogni volontà esplicativa/illustrativa, mai ridondanti e rifiutando di trasformare l’immagine filmica in volontà di “autorità”, testo e immagine si possono associare nel cinema contemporaneo per dare origine a nuovi intrecci e nuove relazioni. Fondate sull’ironia, la curiosità, il divertimento, lo stupore.

Tappe suggerite: Noël BURCH, Allan SEKULA, The Forgotten Space (Olanda); Sasha PIRKER, The Future will not be capitalist (Austria); Patrick KEILLER, Robinson in Ruins (Regno Unito); John AKOMFRAH, The Nine Muses (Regno Unito); Manoel de OLIVEIRA, Painéis de Säo Vicente de Fora, Visäo Poética (The Panels of Säo Vicente de Fora, A Poetic Vision (Portogallo), e altri.


ITINERARIO 2. La vita come sceneggiatura
Le vite non diventano necessariamente sceneggiature, quando il cineasta le ha sufficientemente ascoltate e capite per farle sue, identificandone linee e movimenti. Che il testo preceda il film oppure che ne discenda, siamo qui all’opposto dello storytelling manageriale: si apre una gamma di modi narrativi molto diversi tra loro.

Tappe suggerite: Catherine BREILLAT, La Belle Endormie (The Sleeping Beauty) (Francia); Mauro ANDRIZZI, En el futuro (Argentina); Nicolas PEREDA, El verano de Goliat (Messico); Pasquale SCIMECA, Malavoglia (Italia); Gianfranco ROSI, El Sicario, Room 164 (Francia); Vincent Gallo, The Agent (USA); Luiz PRETTI, O mundo é belo (Brasile); Arnaud des PELLIERES, Diane Wellington (Francia); Guillermo ARRIAGA, El Pozo (Messico); Jesse McLEAN, Magic for Beginners (USA); Josh SAFDIE, Ben SAFDIE, John’s Gone (USA); Nuntanat DUANGTISARN, Woman I (Tailandia), e altri.


ITINERARIO 3. L’immagine disturba il reale
All’opposto di quanto si immagina, molto spesso il cinema contemporaneo, anche nelle sue relazioni più strette con le arti visive, non si discosta poi così tanto dal reale. Lo movimenta, lo trasfigura, lo elude; lo fa scivolare, insomma, verso dimensioni sconosciute. L’immagine cinematografica, per la sua stessa materialità, rinnova la propria alleanza con pittura e scultura. Il contratto tradizionale tra immagine e suono si spezza: nascono così visioni critiche, fantastiche o di sogno, del mondo che ci circonda.

Tappe suggerite: SJ RAMIR, Cold Clay... Emptiness (Nuova Zelanda); Markus LÖFFLER, Andrée KORPYS, Atom (Germania); FLATFORM, Non si può far nulla contro il vento (Italia); Oleg TCHERNY, La linea generale (Francia); HUANG Wenhai, Qiao (Crust) (Cina); Galina MYZNIKOVA, Sergey PROVOROV, Voodushevlenie (Inspiration) (Russia); Ken JACOBS, A Loft (USA); Ishtiaque ZICO, 720 Degrees (Bangladesh); Emily RICHARDSON, The Futurist, (Regno Unito); Martin ARNOLD, Shadow Cuts (Austria), e altri.


ITINERARIO 4. Gli animali ci guardano
Vero o disegnato, il mondo animale può essere metafora di quello umano, ma soprattutto presenza che turba e accende inquietudine, con un’ironia a volte crudele ma più spesso molto divertente. Topolini che ci somigliano fin troppo nei comportamenti; insetti che sembrano sapere che i loro figli saranno gli eredi di questo pianeta; orsacchiotti e conigli dei cartoni animati che non si comportano come tali. Diventano tutti, nelle mani degli artisti, figure del “troppo umano”.

Tappe suggerite: HUND & HORN, Mouse Palace (Austria); Hannes VARTIAINEN, Pekka VEIKKOLAINEN, Erään Hyönteisen (The Death of an Insect) (Finlandia); David OREILLY, The External World (Germania); Atsushi WADA, Mechanic of Spring (Giappone), e altri.


ITINERARIO 5. Avete detto documentario?
Il genere documentario ha ritrovato, negli ultimi anni, la libertà che aveva conosciuto nei primi tempi del cinema, prima che generi e filoni industriali codificassero i limiti, vincolando i cineasti. Lontano dalla retorica televisiva e dalle scritture automatizzate, ci sono ancora cineasti che “documentano” (nel senso del Cineocchio di Dziga Vertov). Che sanno fissare un istante perché sanno scegliere come inquadrarlo. Che sanno che devono mettere in scena la parola perché l’“intervista” non dice niente. Che sanno far inventare alla gente attorno a noi una loro vita di cinema. Che sanno prendere la parola perché la voce fuori campo può essere anche un pensiero ad alta voce. Che sanno trasfigurare il reale con il risultato che il passato diventa presente.

Tappe suggerite: Gianfranco ROSI, El Sicario, Room 164 (Francia); Patrick KEILLER, Robinson in Ruins (Regno Unito); Noël BURCH, Allan SEKULA, The Forgotten Space (Olanda); Nicolas PEREDA, El verano de Goliat (Messico); HUANG Wenhai, Xifang quci bu yuan (Reconstructin Faith) (Cina); Marianne KHOURY, Mustapha HASNAOUI, Zelal (Egitto); Laila PAKALNINA, Pa Rubika Celu (On Rubiks’ Road) (Lettonia); SEMICONDUCTOR, Indefatigable (Ecuador); Yuri ANCARANI, Il capo (Italia); Doug AITKEN, House (USA), e altri.


ITINERARIO 6. L’orrore documentato
Il materiale documentario – e addirittura l’esperienza stessa del documentario – possono confondersi con le immagini di fiction. Ciò accade nel cinema cosiddetto di genere. In questi casi, il film incorpora forze invisibili: il terrore, il sacro, la premonizione di catastrofi e il ricordo di quelle già accadute. Senza mai tradire il reale, il film mette in scena ciò che un copione non riesce a rappresentare. Così il documentario diventa “film di genere” del quotidiano.

Tappe suggerite: Olivier ZABAT, Fading (Francia); Nicolas PROVOST, Stardust (Belgio); Giuseppe GAUDINO, Isabella SANDRI, Per questi stretti morire - Cartografia di una passione  (Italia), e altri.


ITINERARIO 7. Tante storie dalla Storia
Come raccontare ciò che non è più? Come dire che ciò che è ha sempre una storia precedente? Film che trovano il loro punto di partenza nel passato, che sia recente o lontano. I narratori contemporanei lavorano, come degli archeologi, su ciò che ci ha preceduto. Perché la Storia non sia mai museo o mero strumento commemorativo, perché diventi materia viva che anima il presente, è necessaria una Forma.

Tappe suggerite: Manoel de OLIVEIRA, Painéis de Säo Vicente de Fora, Visäo Poética (The Panels of Säo Vicente de Fora, A Poetic Vision (Portogallo); Lluís GALTER, Caracremada (Spagna); Arnaud des PALLIERES, Diane Wellington (Francia); Giuseppe GAUDINO, Isabella SANDRI, Per questi stretti morire - Cartografia di una passione (Italia); Maher ABI SAMRA, We Were Communists (Libano); John AKOMFRAH, The Nine Muses (Regno Unito); Laura Amelia GUZMAN, Israel CARDENAS, Jean Gentil (Repubblica Domenicana); Marianne KHOURY, Mustapha HASNAOUI, Zelal (Egitto); Pasquale SCIMECA, Malavoglia (Italia); Douglas GORDON, K.364 A Journey by Train (Regno Unito); Guillermo ARRIAGA, El Pozo (Messico); Jean-Gabriel PERIOT, Les Barbares (The Barbarians) (Francia); Georgios ZOIS, Casus Belli (Grecia), e altri.


ITINERARIO 8. Geografie del sogno
Misurare il mondo e il tempo: il cinema, arte contemporanea della favola e del racconto e anche arte geografica, ignora la cronologia o se ne serve a beneficio del racconto.  Sogni talvolta dolorosi, incubi dai quali ci risvegliamo rabbrividendo. «È per meglio comprendere il mondo, figlio mio», direbbe il Lupo di Cappuccetto Rosso.

Tappe suggerite: João NICOLAU, A Espada e a Rosa (The Sword and the Rose) (Portogallo); F. J. OSSANG, Dharma Guns (Francia); Catherine BREILLAT, La Belle Endormie (The Sleeping Beauty) (Francia); Oleg TCHERNY, La linea generale (Francia); Galina MYZNIKOV, Sergey PROVOROV, Voodushevlenie (Inspiration) (Russia); Manoel de OLIVEIRA, Painéis de Säo Vicente de Fora, Visäo Poética (The Panels of Säo Vicente de Fora, A Poetic Vision) (Portogallo); Rafael PALACIO ILLINGWORTH, Man in a Room (USA); Luiz PRETTI, O mundo é belo (Brasile); SUN Xun, 21g (Cina); Peter TSCHERKASSKY, Coming Attractions (Austria); Chaisiri JIWARANGSAN, Nok Ka Mhin (Four Seasons) (Tailandia); Victor ALIMPIEV, Slabyj Rot Front (Weak Rot Front) (Russia), e altri.


ITINERARIO 9. La crisi c’è (anche nelle immagini)
La crisi c’è, c’è stata e ci sarà. Tutte le crisi della storia del cinema hanno provocato la crisi delle immagini vecchie e nuove. Un evento globale, uno sconvolgimento dei sistemi non può che sconvolgere le rappresentazioni filmiche. O meglio: stimolare gli artisti a pensare per noi (gli spettatori) nuovi modi di comprensione, nuovi sistemi di reattività, nuovi approcci a ciò che parrebbe illeggibile. Un cinema come alfabeto sensibile, come “gai savoir”.

Tappe suggerite: Patrick KEILLER, Robinson in Ruins (Regno Unito); Noël BURCH, Allan SEKULA, The Forgotten Space (Olanda); Elina TALVENSAARI, How to Pick Berries (Finlandia); José Luis GUERIN, Guest (Spagna); Laura Amelia GUZMAN, Israel CARDENAS, Jean Gentil (Repubblica Domenicana); Jean-Gabriel PERIOT, Les Barbares (The Barbarians) (Francia); Armin LINKE, Francesco MATTUZZI, Future Archeology (Italia); Roee ROSEN, Tse (Out) (Israele), e altri.


ITINERARIO 10. Animazione
Il cinema d’animazione, oggi più che mai non è un ambito a sé stante, bensì un genere trasversale che contamina gli approcci più diversi: film d’artista, film sperimentale, documentario, computer graphic, videoclip.
I sempre più giovani registi d’animazione mettono alla prova una grande varietà di tecniche, dalle tecnologie più sofisticate al “do it yourself” che riscopre tecniche di base come il disegno manuale su carta, a matita e a carboncino.
È ormai prassi comune allargare la definizione e il concetto di animazione a comprendere anche buona parte del cinema e video “sperimentale”: strategie molto di frequente basate sulla creazione e manipolazione dell’immagine, analogica o digitale, verso un’ancor più radicale reinvenzione del reale attraverso il cinema.

Tappe suggerite: Martin ARNOLD, Shadow Cuts (Austria); FLATFORM, Non si può far nulla contro il vento (Italia); Atsushi WADA, Mechanic of Spring (Giappone); SUN Xun, 21g (Cina); Hannes VARTIAINEN, Pekka VEIKKOLAINEN, Erään Hyönteisen (The Death of an Insect) (Finlandia). 


Bibliografia

Berretto P., (a cura di) (1983): Il cinema d’avanguardia 1910-1930, Marsilio, Venezia.

Buccheri V., (2010): La scienza del sogno. Scritti critici 1992-2009, Il Castoro, Milano.

Pasolini P., (2003): Empirismo eretico, Garzanti, Milano.

Pugliese R. (1991): A ciascuno il suo?, in «Segnocinema», gennaio-febbraio, 47