NightMovesIl cinema di Kelly Reichardt riparte da una diga, un muro di cemento armato che separa le certezze del sogno americano dalla reale presa di coscienza dello stato delle cose, secondo l’idea dei giovani protagonisti del film.

 

 

Gli aridi e assolati paesaggi del precedente Meek’s Cutoff lasciano il posto ad uno scenario plumbeo, a tratti spettrale, fino alla cupa notte in cui la ragione rischia di smarrirsi e i fantasmi del Passato, del Mito fondato sull’eterno contrasto cultura/natura, ritornano sotto le sembianze di un cervo morente sul ciglio della strada. Come nel film omonimo di Arthur Penn (Night Moves, 1975) – chissà se il richiamo sia voluto dalla Reichardt – una sensazione di ambiguità latente domina la pellicola e i suoi personaggi, sospesi tra bene e male. Progressivamente l’immagine si fa oscura, quasi surreale, fino a inghiottire ogni bagliore: è il buio della mente. I movimenti notturni, dunque, sono quelli dell’anima dei personaggi, di Josh (Jesse Eisenberg) in particolare, il quale percorre una strada che appare perduta già in partenza, considerato che la condizione finale in cui si verrà a trovare sembra essere il risvolto interno di ciò che prima era camuffato esternamente: qualcosa che ha a che fare con la paura, la solitudine, la paranoia.

Kelly Reichardt rimane fedele alla sua idea di cinema, preferendo trattenere l’attenzione sulle re(l)azioni dei personaggi piuttosto che sulle loro azioni (l’evento principale e centrifugo del film, l’esplosione della diga, non verrà mai mostrato, ma ridotto ad un tonfo sordo e lontano, mentre la mdp è fissa sui volti dei protagonisti); costruendo la tensione lavorando sui dettagli (qui il riferimento principale sembra essere Hitchcock: si pensi, ad esempio, alla sequenza del posto di blocco); vaporizzando e astraendo un genere – è la volta del noir – fino a rendere ogni forma specchio dell’anima e della mente dei suoi personaggi; ponendo delle domande piuttosto che delle (semplici) risposte, e dunque seguendo alla lettera l’insegnamento godardiano per cui bisognerebbe fare film politicamente e non (semplicemente) film politici.