Moebius 1Il taglio, voluto e subito, è il soggetto principale dell’ultimo film di Kim Ki Duk che, si vocifera, potrebbe uscire amputato nelle sale (sicuramente in Corea molte parti verranno censurate). Un’operazione non meno dolorosa della visione integrale e per molti insostenibile di una storia di perverse santificazioni.

 

Estromesso ogni residuo di pietà, la violenza inappellabile della vendetta femminile ha l’effetto catartico della elevazione del soggetto a oggetto. Non una equivalenza, quanto piuttosto un tentativo di ascesa spirituale che faccia coincidere continuamente i lati di un unico nastro.
Lo strazio subito dal corpo e la vergogna dell’esibizione della perdita sono la reazione a un sistema sociale fallocentrico al collasso: non è un caso che anche in questo film sia la donna, madre e compagna, a sovvertire l’ordine delle cose.  

Come una lucida e feroce Medea, la madre conosce la sofferenza della perdita, lo strappo che lascia sanguinanti a osservare una inaccettabile sostituzione. Il sacrificio si compie nel corpo del figlio, carne della stessa carne, esibizione cruenta della mancanza e per questo feticcio adorato, oscuro oggetto del desiderio della moglie e dell’amante del padre.
L’incesto edipico è il completamento di questo processo di reificazione. In un compendio perfetto di psicopatologie che vanno da Freud a Lacan, centrale non è più il godimento fallico, emblema autoreferenziale che estromette la presenza dell’altro, quanto il suo contrario: l’apertura, che diventa il contrario dell’amputazione, su ogni lato del corpo sacrificato.

La violenza della donna è espressione di un godimento radicalmente Altro (Lacan), un affondo di lama che resuscita e non perdona. La parte che manca è ostia donata, reliquia sacra masticata, promessa di una san(t)ità in grado di placare un poco il dolore insostenibile della separazione.
Ma la ferita torna sempre a bruciare sul dorso delle mani e dei piedi perché non esiste sostituzione che possa rimarginare il taglio, la parte che manca è ontologicamente una censura o una rimozione.
Non esistono due lati del nastro, ma un annodamento trinitario che tende all’unità di parti nate disgiunte: il padre-figlio si priva di quello che ha tolto alla madre-amante, ma spetta al figlio, padre e amante, il compito di risarcire le colpe pregresse con una donazione totale di sé, un atto di amore definitivo quanto inutile: l’adorazione della reliquia come tributo a tutto ciò che continuerà per sempre a mancare.