Matteo Marelli

die-andere-heimat-04-Die aSi presenta Die Andere Heimat di Edgar Reitz. «Ne sono grandemente impressionato e turbato, poiché, sebbene nella mia visione tutto ‘corrisponda’ esattamente alle riproduzioni del quadro da me conosciute, essa ‘mi appare’ nondimeno assolutamente modificata e carica di una tale intenzionalità latente che […] diventa ‘d'improvviso’ per me l'opera […] più densa, più ricca di pensieri inconsci» di questa 70° Mostra del Cinema.


Rubo a Dalì, alle pagine de Il mito tragico dell’Angelus di Millet. Perché stessa è l’emozione per la visione, ma soprattutto per il fatto che la composizione della scena seguita dal regista per questa ripartenza del monumento filmico cominciato nell’Ottantaquattro (e per buona sorte ancora inconcluso) rievoca quella delle opere dell’autore de Le spigolatrici.
Rappresentazioni di una quotidianità ripresa con un gesto che ritorna simbolicamente religioso, quasi medievale, nella coincidenza della realtà con il simbolo (la realtà come segno di altro). Piccole storie che confluiscono nell'alveo del dettato collettivo, mantenendosi sempre però fedeli a un taglio cronachistico. A Reitz interessa recuperare un patrimonio memoriale senza moralismi o ideologica volontà di giudizio: non considera né le cause, né le interferenze, né le ripercussioni degli avvenimenti descritti.

Come Millet, il regista risolve gli episodi realistici attraverso composizioni studiatissime che monumentalizzano l’immediato contingente. Le figure sono solenni. Piene di austera dignità, anche con i loro abiti frusti e le loro mani nodose. La luce ne accentua i volumi, le rende scultoree, solide, adatte a sostenere il peso di un’ineluttabile fatalità. Si è di fronte a una visione liturgica della vita e della Storia. E a un continuo riaggiornamento della nozione di infinitezza del testo, di una possibilità narrativa senza limite, di una successione di eventi che può protrarsi all’infinito. Ogni interruzione di flusso, ogni conclusione di ciclo è per Reitz una sorta di inopportuna ingerenza nei confronti dell’inesausto scorrere degli eventi.