altUna delle interpretazioni del termine “diavolo” (letteralmente “il calunniatore”) ne sottolinea la valenza divisiva: il diavolo (da dia-ballo) è colui che separa, che distingue. Nel paradiso terrestre, dove tutto si dava per vero, pone la possibilità del falso e insinua la sua calunnia: quel che vedi non è vero, se mangi del frutto dell’albero i tuoi occhi si apriranno per davvero (e ti vedrai per quell’essere fragile e nudo che sei).


L’operazione diabolica di Friedkin è data dalla separazione dichiarata all’inizio di The Devil and Father Amorth: quel che vedrai qui è verità, reale, mentre L’Esorcista (che pure trattava dello stesso tema) è fiction, falsità. Una separazione netta, ribadita anche dopo la proiezione in Mostra: Friedkin si rivolge al pubblico e chiede: «Chi crede negli esorcismi alzi la mano. Poi la alzi chi ne nega assolutamente il potere». Tertium non datur. Eppure una parte minoritaria del pubblico non ha alzato la mano: è forse possibile una terza via tra vero e falso, tra realtà e fiction, ed è quella del dubbio. Nel dubbio, due tesi contrapposte possono coesistere, perché nessuna viene negata recisamente. Il Salvatore, colui che proclama di riportare la verità in terra attraverso la rivelazione (i tuoi occhi ritorneranno a vedere per davvero) si esprime per parabole, ovvero per immagini provenienti da due dimensioni distinte, contrapposte e coesistenti (da una parte la contingente realtà quotidiana, dall’altra l'immutabile e intangibile – oggi diremmo "virtuale" – verità divina) e poi messe a confronto (parabola deriva da para-ballo, “porre affianco”) perché una potesse essere rappresentazione dell’altra.

Ammettendo che quel che si vede in The Devil and Father Amorth sia vero, allora ciò che viene raccontato ma non visto può essere suscettibile del dubbio, ed essere falso. Buona parte del film riprende il nono (e ultimo) esorcismo operato dal quasi centenario Padre Amorth a una donna posseduta (ed è curioso come i casi descritti, e le figure intorno alla bara di Amorth, e le immagini di altri tipi di possessione siano tutti di donna): questa è la parte che vediamo, e quindi ammissibile come vera. Ma gli episodi di possessione più sovrannaturali (con tanto di mostruose deformazioni fisiche, dimostrazioni di forza sovrumana, capacità paranormali, conoscenze linguistiche eccezionali) non vengono ripresi e sono quindi passibili del dubbio (un episodio cui Friedkin dice di assistere non viene ripreso perché «mi ero scordato la telecamera» – la telecamera, il solo medium che ancora viene spacciato come tabernacolo in cui riposa la verità).

Liberiamoci allora da ogni dubbio: quello in cui Friedkin sembra davvero credere è il cinema, unica sua possessione, e questo film è un atto di fede, senza possibili fraintendimenti – nel frattempo, che verità e falsità continuino pure a litigare tra loro.