First Reformed di Paul Schrader (in concorso) resta tutt’ora, anche dopo aver visto stamattina Three Billboards Outside Ebbing, Missouri di Martin Mcnonagh (che è un gran film), la cosa migliore di questo festival e comunque uno dei film più belli degli ultimi anni. Un lirismo essenziale, esatto, fatto di corpi dolenti, ruvidi, che si aggrappano l’uno all’altro, si mettono uno sopra l’altro stando attenti a non sfregarsi, per non farsi più male, sormontati all’improvviso da uno scroscio di capelli profumati, da cui inizia un viaggio tra nebulose e costellazioni, fino a degradare poi alla terra, fanghiglia, miasmi. Randagi della vita, il reverendo Toller e Mary, stagliati con gli occhi sgranati nel freddo, bianco ecclesiale, che subito diventa l’America al tempo di Trump, concussa, bellicosa, defecante scorie sulla crosta terrestre.
Poi c’è l’America intestina, erratica di Lean on Pete di Andrew Haigh (in concorso) che svia e rilancia di continuo il discorso, perdendo di vista ogni volta i compagni di viaggio, dissolti dal prosieguo del film, dalle sequenze umide, slavate, come non fossero mai esistiti tra la farragine di stanze e letti disfatti, ristoranti anonimi, stalle che fagocitano gli uomini. Resta la nudità e lo spaesamento di Charley alla ricerca della zia, mentre cerca di barcamenarsi nell’osceno contesto dell’esistere per via pecuniaria (la fenomenologia del dollaro stropicciato, piegato, custodito gelosamente nei calzini, se no si dorme sotto i ponti, tra il piscio e i denti marci, si muore, ci si putrefà come le sempiterne foglie autunnali sotto i ponti); e come un silenzio, un vuoto, un’aria pungente, che percorre tutte le immagini (come l’orizzonte marittimo qui, evaporante nella noia, l’indifferenza del cielo in cui volersi perdere, dissolversi senza più corpo e coscienza) che dice, dopo tanto affanno, la possibilità del ragazzo di andare a scuola, alzarsi la mattina e fare colazione, giocare a football e correre tra i viali già ammantati di foglie marce.