Gemma Adesso


altI giorni sono quelli che si contano tra la fuga e l’inseguimento; la Francia è lo spazio atipico e notturno di un abbandono. 
Un uomo, prima di scomparire, illumina con la luce fioca di un cellulare il suo amante mentre dorme; al risveglio, il cellulare sarà lo strumento di una ricerca disperata attraverso una app di incontri al buio, tra sentieri sconosciuti.


Il primo lungometraggio di Jérôme Reybaud, mostrato all’interno della Settimana della Critica, si sviluppa per sottrazioni e paradossali raddoppiamenti di abbandono nel sonno e di abbandono al sonno. Se i corpi diventano mancanze e le strade si vedono solo nella prospettiva della corsa; gli incontri si moltiplicano e i panorami cambiano con l’approssimarsi dell’abbraccio definitivo.
Il sonno è la dimensione dell’abbandono. Dormire è l’atto in cui l’inconscio allontanamento dall’altro presuppone incontri imprevisti e distanze che inghiottono in un gioco a perdersi tra affollamenti e solitudine, rapporti reali e identità virtuali.

La notte incoraggia la partenza senza meta; quando tutte le strade sono uguali e i posti si equivalgono, poter andare ovunque significa arrivare in nessun posto. Nella notte, reale e virtuale convergono nella durata ipotetica di esperienze potenziate; la fisicità nel sonno non è azzerata e le cose partecipano di questa magnifica dispersione.
Il film di Reybaud abbonda tanto di macchine, telefoni e accorgimenti di sicurezza (cinture, frecce segnaletiche, password) quanto di paesaggi incontaminati e di desideri incontrollati. In una trama sottile di rimandi, l’istinto del contatto viene mostrato come l’altra faccia del desiderio della lontananza.
Pierre e Paul non si separano e non si ricongiungono, si potrebbe sospettare che si tratti della stesso fantasma: l’ossessione per una immagine che si espande nei giorni e nello spazio quanto un ricordo doloroso che non si smette di cercare. Il fantasma appare in una luce sottile, di palpebra, che definisce i contorni della distanza tra il sonno e la veglia.