Vanna Carlucci

altIl cortometraggio del 1961 L’amour existe di Maurice Pialat (presentato alla mostra del cinema in versione restaurata nella sezione "Venezia classici") scava nel paesaggio periferico francese, attracca sui margini delle ferrovie, dei borghi lontani, sui cappotti stanchi degli uomini che passano indistinti, come fiumi nella ruggine dei tram confondendosi nei giorni. Uno sguardo che si perde in un viaggio continuo, senza centro: dai palazzi alle villette fin dentro gli angoli del salotto.


In questo scorrere confuso e fuso senza giorno e senza notte, in questo sovraccarico di gente e di “acqua grigia” che ritorna a coprire tutto tanto da non riuscire più a vedere niente, Pialat continua ad infiltrarsi senza posa a scoprire un tempo sospeso, un tempo altro, eroso: la memoria – la sua – che scorre come “un treno che passa, come un film”: il sogno del cinema che era il sogno di Méliès, demolito come l’aria musicale di una fisarmonica francese, come il verde degli alberi abbattuti facendo posto a quel “materiale scadente” del paesaggio degradato.


In fondo – dice Pialat – la magia del cinema esiste altrove, qui, nel mondo dei vivi, fuori dai teatri di Parigi, più in là, riaffiora nel ricordo di quando, ogni giovedì pomeriggio, la notte appariva tra le sedie di un cinema per godere di un altro mondo. Qui il cinema e la memoria “sono pieni di oggetti”: entrambi si fondono a rievocare il suo primo ricordo che è “il ricordo della periferia” e così, col cinema, gli oggetti riaffiorano, “ritornano gli animali, i campi”, ritorna una “voce lontana” come una supplica, come una mano spiegata, il singhiozzo di un bambino che piange, quello “sguardo puro” che esige un cambio di angolazione.