Gianfranco Costantiello

altAdam, figlio di immigrati irlandesi, si sarebbe dovuto stabilire, una volta cresciuto, nel mondo sicuro della fattoria di famiglia. Ma l’epidemia di afta epizootica del 2001 ha distrutto tutto. Dopo la catastrofe, la famiglia di Adam è implosa e il ragazzo è andato via di casa, trascorrendo gli anni successivi ai margini nomadi della società britannica, passando da un lavoro temporaneo all’altro e da un rapporto transitorio all’altro e andando alla deriva lontano dalla sua famiglia e dal suo passato. Quando il fratello minore Aiden lo contatta per annunciargli la nascita del suo primo figlio (Adam sta per diventare zio), oltre al messaggio gli dà un ultimatum: torna a casa ora o non tornare mai più. (dal sito della biennale)


L’invisibile ha sempre un peso molto più grande del visibile. Tutte le cose, seppur appaiano ferme e immutabili, sono destinate a cambiare, a deteriorarsi, a finire. Che sia per un’epidemia o per il tempo che passa, poco importa. Blood cells di Joseph Bull e Luke Seomore prova a dire qualcosa intorno allo stillicidio muto ed inesorabile della vita. E lo fa onestamente (finalmente un film onesto!) giocando tra campi lunghi e campi medi, e talvolta primi piani, che cedono spesso al peso del fuori fuoco, di ciò che confusamente s’addensa sul fondo incomprensibile del quotidiano. Certo, è innegabile che i due registi preferiscano tenersi saldamente alla narrazione, a un filo diegetico fin troppo chiaro, ma non dispensano, per questo, certi bagliori di quel cinema contemplativo contemporaneo, sfiorando a tratti, per esempio, le atmosfere plumbee e di solitudine del bellissimo Nothing Personal (2009) di Urszula Antoniak.

Avvolto nel bozzolo inestricabile del passato, tormentato da uno schioppo di fucile che si è portato via suo padre, Adam ha perso la freschezza di un tempo. I cieli non sono che grigi, le sere barcollano sul fondo di lattine e bottiglie vuote. Ogni gesto, ogni sguardo ha il sapore di una lotta introspettiva già persa. Il vincolo degli affetti familiari schiaccia e corrompe il presente: Adam è costretto a tornare a casa. Così egli intraprende un lungo viaggio, da nord a sud, e il paesaggio uggioso e desertico dell’Inghilterra e i nuvoloni carichi di pioggia appariranno come il riflesso della sua esistenza instabile, prossima alla caduta. Blood cells non è altro che un road movie umorale, interiore, imploso.