Su tutto, lo straodinario impiego del contrappunto musicale. E in particolare la sequenza, già conquistatasi uno spazio di diritto nelle future antologie di manualistica cinematografica, che fotografa con lucida spietatezza l'inabissarsi delle protagoniste oltre i limiti del decoro morale causticamente commentato da Everytime di Britney Spears.
L'opera di Harmony Korine mostra il lato ferino, orgiastico, brutale, che cova al di sotto del superficialmente innocuo e patinato immaginario pop-giovanilistico.
È in questa chiave che va letta la scelta delle interpreti femminili, in particolare Serena Gomez e Vanessa Hudgens, come la Spears, prodotti di mercato dell'industria Disney elevati a rango di icone adolescenziali. L'adolescenza, termine di riferimento a cui l'opera si rivolge, è una condizione esistenziale, mentale e spirituale tendente a protrarsi oltre quelli che sarebbero i consentiti limiti anagrafici; non più associabile a una precisa fascia d'età, è ormai un modus-vivendi trans generazionale determinante una mostruosa confusione genetica. Segmento decisivo della strategia dei consumi, le adolescenti messe in scena da Korine sono consumatrici onnivore, instancabili di mode, merci, etichette, unici contrassegni ancora capaci di funzionare come dispensatori d'identità. Inconsciamente autosottopostesi a una vera e propria reificazione, a un'operazione di cosalizzazione, di cosificazione che possa permettere loro di appropriarsi di una qualche marca identitaria. Sono i prodotti di cui fanno uso (dai giocattoli alle armi) a caratterizzarle (hanno la testa piena di stereotipi, e agiscono di conseguenza), non quello che pensano o quello che dicono; da questo punto di vista i loro stati d'animo risultano perfettamente interscambiabili.
Stilisticamente Korine pigia senza sosta sul pedale di un realismo così radicale da trasfigurarsi in febbrile iperrealismo, esaltazione parossistica del dettaglio saturo di senso. Il digitale lisergico aggredisce le immagini imponendo alla visione un costante regime allucinatorio. Cromatismi acidi, l’impiego di neon, di colori acrilici che sembrano quasi sostituirsi agli oggetti, come se avessero una consistenza particolare, un’autonomia visiva ulteriore, fanno di Spring Breakers un mondo totalmente artificiale, di una luminescenza anomala, del tutto particolare, che insieme mostra il visibile e lo altera radicalmente. Il colore irrealistico diventa più rilevante sul piano testuale degli altri elementi dell’immagine; produce i sensi nascosti e secondi che oltrepassano il mero sviluppo diegetico. Quest'opera di Korine, attraverso l'estremismo stilistico, la grandiosità formale, esalta a potenza l'iperbole visiva.
Ancora un universo disumano, nichilistico, non distante dai precedenti mostratici. Certo l'estica fluorescente di Spring Breakers è imparentabile alle sgranature di Gummo, ma, parafrasando Benjamin, Korine può così riuscire ad introdurre la riproduzione dell'originale in situazioni che all'originale stesso non sarebbero state accessibili, accrescendo così le potenzialità di contestazione dell'opera nei confronti delle logiche spettacolari dominanti.