Kitano non è morto, sebbene ci sia qualcuno che dica il contrario da cinque anni, da quando è uscito Kantoku banzai!, il film con il quale ha provato a suicidare la propria immagine gloriosa, già sezionata e frammentata (forse per sopportarne il peso un po’ alla volta) in Takeshis’.
Outrage beyond è oltre il semplice vilipendio alla gloria del filmaker, è la contraddizione di non voler fare un film attraverso la sua messa in opera.
Kitano con riluttanza entra in scena, quando ormai l’intreccio ha già preso una direzione ben precisa: è un deus ex machina inoperoso, cui viene chiesta una soluzione ma che disattende al suo compito perché in questo far nulla sta la sua gloria. La creazione è infatti un unico atto originario di un motore immobile, tutto il resto deriva e sgorga autonomamente.
Ne vien fuori un film d’azione senza azione, in cui le sparatorie avvengono per lo più fuoricampo, mentre Kitano si ritrae dalla scena poco alla volta, come se volesse sottrarre continuamente alla vista non solo il film ma pure qualcosa di se stesso. L’unico atto possibile che gli rimane è quello di dare la morte: il dio sottrae, anche la causa prima per cui tutto è iniziato e il principio ordinatore delle cose. Buio in sala.