Il furore iconoclasta di Ulrich Seidl tocca, in questo film, una durezza e una spietatezza adamantina. E, così come non concede attenuanti ai suoi personaggi, non permette fraintendimenti agli spettattori. L'esasperazione dei toni e delle situazioni è da leggersi in questa prospettiva; i sui film sondano i punti deboli di una comunità, il dramma sociale, l'endemica irrequietezza evolutiva che porta gli antagonismi a venire allo scoperto. Come una peste, il cinema di Seidl è un’alterazione, un’esagerazione, un’ipertrofia; crudele, tutt’altro che consolante, esorta a guardare con onestà e coraggio ciò che sta al di sotto della sovrastruttura civile, dentro il collasso morale. È un contraccolpo che annienta la falsità, rappresentata, in questo caso, da una fede completamente svuotata di senso, reificata a feticcio, ridotta a suppellettile.
Ad aggrapparcisi con totale abnegazione è Anna Maria, sorella di Teresa, protagonista del precedente Paradies: Liebe, partita per il Kenya alla ricerca di un amore ben più terreno e carnale.
Come per Canicola, il regista si concentra attorno alle giornate di ferie di Anna Maria, convinto che proprio durante il tempo libero, quando la gente è lontana dal lavoro, dal quotidiano, si manifesti il maggior numero di conflitti. A creare la situazione di disagio è il ritorno del marito, un mussulmano costretto in sedia a rotelle deciso a rinsaldare il rapporto con la moglie. Un riavvicinamento affettivo che, per dirsi tale, comporta rispetto dei "doveri coniugali". Ma Anna Maria, ormai completemente votata al proprio ruolo di legionaria di Cristo e alla propria missione di rievangelizzazione dell'Austria (armata d'una statua della Madonna, gira porta a porta salmodiando la necessità dei Dieci Comandamenti, ed in particolare del sesto: "non commettere atti impuri”), trova risposta unicamente nella croce, anche per il soddisfacimento dei piaceri corporali: all'evenienza, quando nemmeno le pratiche di mortificazione medievale, come il cilicio o le scudisciate, riescono a mettere a tacere i pruriti sessuali, il crocifisso può diventare efficace rimedio per dar sfogo al disfrenamento della libido. Un atto registico-ereticale, questo di Seidl, degno di Buňuel o di Friedkin.
In questo secondo capitolo della trilogia Paradies, ritroviamo le soluzioni stilistiche che hanno fatto di Seidl l'autore di un immaginario cinematografico, al di là dei giudizi di merito, immeditamente riconoscibile. I protagonisti di questo formicaio di esseri disumani sono corpi sfatti, cadenti, appendici cancrenose di psicologie disfunzionali che il regista fotografa con ormai noto e puntivo distacco. Quadri fissi, lunghi piani-sequenza e una ripetitività maniacale di gesti-parole-scene per mettere in scena la spaventosa uniformità del quotidiano, la follia della normalità. Una presa di distanza rispetto alla materia del racconto possibile anche attraverso il ricorso ad un umorismo feroce e disperato, un’ironia amara e pungente dettata da animosità e insoddisfazione verso l'umanità ritratta.
Accettiamo per Seidl la definizione di autore di un cinema crudele, a patto che per crudeltà s'intenda, per dirla alla Artaud, «una sorta di rigido controllo, di sottomissione alla necessità». Perché «non si ha crudeltà senza coscienza, senza una sorta di coscienza applicata. È la coscienza a conferire all’esercizio di qualsiasi atto della vita un colore di sangue, una nota crudele…»
P.s.: Sappiamo che la conclusione della trilogia, che si intitolerà Paradies: Hoffnung e avrà per protagonista Melanie, figlia di Teresa e nipote di Anna Maria, anche questa già presentataci nel primo capitolo del progetto, avrà per tema l'amore adolescenziale.
http://www.youtube.com/watch?v=pYOddVREv80