“E' Dio che limita le cose del mondo, ma non conosciamo quali sono i limiti dell’inferno e
soprattutto: dov’è la frontiera dell’uomo?” (Sokurov)
L’11 settembre è il giorno ideale per le conclusioni...
Questa 68esima mostra è stata una collezione di capolavori, inevitabilmente qualche grande film (penso a quelli di Ferrara, Friedkin, Naderi…) è rimasto fuori dalla premiazione, riflettiamo sulla fine e consoliamoci.
Dopo la proiezione di Kotoko (Tsukamoto) si diceva tra noi che ogni mostra dovrà inevitabilmente involversi verso la retrospettiva, ché è difficile andare oltre. La mattina seguente una prova dell’oltrepassamento: Faust che non muore, o forse muore, ma finendo esce dall’inquadratura e si spinge verso chissà quali frontiere. Straordinaria metafora cinematografica: bisogna vedere tutto, attraversare l’orrido, sprofondare nell’inferno, abbandonarsi alla catarsi dell’amplesso e svendere l’anima al diavolo per rinnovarsi. Ma analizzando più attentamente questo passaggio, mi rendo conto che è una costante delle fini: non è detto che la catastrofe sia definitiva, quello che viene dopo l’ultima scena non si vede ma non significa che l’ultimo non sia un’ulteriore soglia verso un
nuovo penultimo, e così all’infinito.
Il nostro dinoccolato Abel Ferrara ha astutamente giocato sul termine “last” e sulla ripetizione dell’ora ultima (4:44), convergendo in maniera sorprendente con l’interrogativo di Sokurov: perché fermare l’attimo se si può andare Oltre? Abolire il tempo significa dimenticarsi che il tempo è fermo, procedere oltre la convenzione dell’attimo, svanire, divenire luce accecante (Kotoko, Last Day on Earth) o cielo (Wuthering Heights) dopo l’esplosione della terra (People of mountain people of sea), sorpresa per una prossima ri-nascita (Killer Joe). Perfino nel mediometraggio di Frascà (Kappa) - dimenticato nella sezione Retrospettiva - l’omuncolo Adamo chiede a un Dio falso e barbone cos’è il caos: “Niente”. Gli fa da eco il bellissimo Mefistofele goethiano: “Vorresti scoprire il Tutto nel mio Niente?”.
Nell’incessante domanda sulla fine è inscritta la frontiera dell’uomo, il suo procedere oltre i limiti del mondo e dell’inferno, la sua capacità di elevare a potenza l’immagine riprodotta, retrogradando l’ultimo, esibendo una fine (del cinema) che non ha mai fine (ancora Cut).
L’insistenza nel film di Ferrara sull’uso di skype e della televisione, che promette cronache tempestive sull’approssimarsi del niente, diluisce realisticamente la paura insostenibile della morte attraverso la ripetizione iperreale delle vite che si salutano.
Tutti i cinefili baratterebbero volentieri la loro povera anima per restare abbandonati ancora un poco su un materassino galleggiante in questo Niente di visioni da fine del mondo (la chiusa meravigliosa di quel I don’t want to sleep alone di qualche anno fa) che sdoppiano la vi(s)ta (ancora Kotoko); necrofili attaccati al Fantasma che non può morire (Wuthering Heights).
http://www.youtube.com/watch?v=JBjOwdnUwp8