altSoia amara. Così potrebbe intitolarsi, parodiando il film di De Santis, l’opera seconda del regista sudcoreano Park Jungbum, anche attore nei suoi film. Protagonista di Alive è un lavoratore in un piccolo stabilimento, a conduzione famigliare, che produce pasta di soia. La sua ambizione è quella di raggiungere una quota di produzione minima pattuita in modo da affrancarsi da quella condizione e poter migrare nelle Filippine. Ma la fermentazione della soia va a male causa una muffa nera.


Il cinema di Park Jungbum si conferma come un cinema della marginalità, dei paria della società, dopo il primo film, The Journals of Musan, incentrato sulla figura di un disertore nordcoreano e sulle sue difficoltà di inserimento sociale e lavorativo a Seoul. In questo ultimo film il tema è quello del lavoro con il ritratto di un capitalismo famigliare dal finto volto umano. E tematicamente il film accenna anche a un ruolo pervasivo della chiesa cristiana nella società e nella vita sudcoreana.
Sono tanti i punti forti di quest’opera. Il grande televisore al plasma, acquistato dalla famiglia dei padroni, domina la scena dell’abitazione signorile. Nel corso del film il suo utilizzo passerà da quello di karaoke domestico a quello di sguardo voyeuristico da grande fratello, collegato ai mille occhi di telecamere nascoste a spiare il lavoro degli operai. Siamo oltre la società dello spettacolo, la tv passa da show domestico a mezzo di potere con l’immagine nell’immagine che contrasta, per la sua bassa definizione, con la grana dell’immagine cinematografica del film. E fa il paio con una scena molto elegante, ancora l’immagine interna, di sesso davanti a uno specchio. Park Jungbum si mostra in grado di padroneggiare una narrazione che parte da un caos indistinto di scene, situazioni e personaggi per annodare i fili narrativi, secondo un modello che in questo momento non può che ricordare quello di Lav Diaz.

La distesa di contenitori di soia dello stabilimento assume la sembianza sinistra di un cimitero, di un deposito di urne. E la fermentazione interrotta, la putrefazione, la decomposizione, che si genera a un certo punto del film, è la marcescenza dei rapporti lavorativi, famigliari, sociali. Una fattura fortemente materica, in un film dove, come nel precedente, ci si avvale di metafore e simbolismi del mondo animale, pappagalli, polli, uova. Come le uova sepolte, come il balut, il piatto asiatico fatto da un embrione di pollo nel suo uovo, consumato appena prima della schiusa. Tutto va a male, tutto si corrompe, tutto annerisce e si coagula.