Grazia Paganelli
La storia di un amore impossibile ma inesauribile. Il nuovo film di Hou Hsiao-Hsien The Assassin ci porta nei territori enigmatici del sogno, dove la bellezza si confonde con la crudeltà, ma il silenzio è sempre sinonimo di riflessione e attesa.
Ambientato nel IX secolo, epoca caotica della Dinastia Tang, nota anche come epoca delle “cinque dinastie e dei dieci regni” (che si chiude con un periodo di grandi tensioni e contrapposizioni tra partiti), il film si concentra su due personaggi, la bella Yinnian e il cugino Tian Ji’a, un tempo suo promesso sposo e ora governatore della provincia di Weibo. Yinnian però, ha imparato l’arte del combattimento (è stata addestrata con lo scopo segreto di uccidere proprio Tian Ji’a) e ora deve assolvere i suoi compiti. Un viaggio di trasformazione e di presa di coscienza raccontato da uno sguardo incantato e raggelato su tanta infuocata bellezza. Vicino e lontano, leggero, lento, intenso. Il cinema del maestro taiwanese, dopo anni di assenza dal grande schermo, si conferma per la sua astratta capacità di aderire ad un genere come il wu xia pian, sfuggendovi al tempo stesso, cambiando egli stesso le regole al suo interno e trasformando tutte le consuetudini ritmiche e drammaturgiche.
Libero e ribelle, Hou Hsiao-Hsien filma la sua protagonista come davanti ad un mistero imprendibile. I suoi gesti sembrano spiati dalla macchina da presa che la cerca come si fa con i desideri. Appare e scompare dietro veli, colonne, alberi, nei giochi di fuoco o in controluce. È lei, nella sua malinconia, il vettore principale di un film tanto sontuoso, in cui le attese, appunto, si moltiplicano e si ampliano. Sorta di melodramma sospeso in una non-azione infinita, proprio come Yinnian, che disarma con veloce abilità i suoi avversari, li sconfigge con mosse forti e sensuali, per poi contravvenire alle regole non uccidendo mai nessuno e segnando alcune delle più belle scene di questo film. Come il combattimento nel bosco di betulle, filmato senza quasi fermare la macchina da presa, come fosse una passeggiata/carrellata, un veloce passo a due di ballerini che si incontrano e poi si allontanano. Molto diverso dalla precisione del prologo con il suo bianco e nero tagliente, questa volta davvero tradizionale, costruito secondo una prossemica fedele al genere, nonostante la digressione sugli alberi attraversati dal vento.
La decostruzione si impone presto, a partire anche dalla qualità delle immagini, nella densità di un colore che tende al nero, nonostante gli ori, i rossi, i verdi, nonostante una luce che intensifica tonalità profonde. I primi piani si alternano a campi lunghi e lunghissimi, le azioni si protraggono su livelli inconsueti, quasi astratti, portando il discorso su un livello essenziale, laddove la messa in scena ci appare quanto mai formale e geometrica. Questione di contrappunti arditi, eleganti e sapienti, ad incorniciare una storia di amore e violenza, ragioni di stato e di sentimenti, intrighi politici e purezze vertiginose.