“Il western è il cinema americano per eccellenza” diceva anni fa qualcuno che ci sta tanto a cuore… un genere che continua miracolosamente a mutare pelle conservando gli stessi codici, continua ad adeguarsi alle epoche preservando i propri canoni estetici, continua il suo infinito e commovente racconto del Mito riflesso nel Cinema.
The Homesman allora. Il ritorno di Tommy Lee Jones alla regia, ancora più radicale de Le Tre Sepolture (asciugando la pesante struttura di Arriaga che zavorrava il precedente), capace di proporre nel 2014 un western depurato di ogni orpello e secco come un pugno nello stomaco. Siamo di nuovo nel deserto, nel Nebraska, terra di frontiera nel 1850: solo poche case appena costruite (palesemente un set…) si stagliano nel vuoto. La civilizzazione sta tentando i primi vagiti e tutto ruota intorno al prete che “crea comunità”: insomma le radici storiche, culturali e religiose americane sono disegnate in pochissime inquadrature, con una consapevolezza registica stupefacente e figlia di una storia (del cinema) che illumina e protegge dall’alto.
Le donne stanno diventando “pazze” nel villaggio. Aggrediscono i mariti e uccidono i loro figli: bisogna intervenire e portarle oltre il fiume, in città, dove la chiesa saprà come redimerle. Mary Bee è una giovane contadina in cerca di marito, vogliosa di “essere” donna, e forse per questo si assume l’onere di scortare le tre “pazze” iniziando il percorso di redenzione nel deserto. La carovana di sole donne incontra subito un disilluso vagabondo in pericolo di vita: George Briggs (o tanti altri nomi, ma ha veramente un nome?) che promette di accompagnarle in città.
Inizia così il nuovo movimento nel deserto. Inizia un doloroso e ironico percorso che oscilla tra la classicità di Ford, l’assurdità di Hellman e la consapevolezza di Eastwood, setacciando i preziosi grumi di umanità che rimangono nella sabbia. Ecco: il Briggs di Tommy Lee Jones (figura di regista fuori e dentro lo schermo, maestosa riflessione sul cinema la sua) è l’unico personaggio veramente consapevole di questo vuoto di prospettive (in un western clamorosamente politico e attuale) anticipando il destino struggente della angelica sognatrice Mary Bee…
Un western femminile certo (la donna è nel contempo demone e santa, oggetto e soggetto, fine e speranza), che si attacca agli occhi disillusi di Briggs in una scioccante sequenza finale dove la sacra triade della cultura americana - la civilizzazione/giardino, il west/deserto e lo spettacolo/mito - viene configurata nel brevissimo percorso in città dell’uomo. La violenza, la dolcezza, l’impossibilità di integrazione, la fine delle illusioni, l’inizio di un nuovo racconto… insomma il cinema e la vita. Ancora nel west(ern).