L'infinita battaglia fra luce e oscurità e il dramma della parola che, mentre si affianca, resta muta. Il lavoro, proprio il restauro dell’immagine, che scopre quadri nel doppio fondo dei quadri, cornici fuori cornice. E i quadri vivono nonostante tutto (Straub neanche vorrebbe che li si vedesse), ci fissano anche guardando altrove, primi piani e punti di fuga che cercano umanità nelle lunghe file di turisti. Chi guarda chi? E cosa si trattiene dell’immagine? Cosa ci trattiene dal non rubarli! Ma poi loro si ammalano e altri di noi puliscono anno dopo anno alla ricerca della luce perduta. Tutto questo è il nuovo capolavoro di Frederick Wiseman National Gallery.
(Ci sono piani perversi, orchestrati genialmente da un corpo di donna irresistibile, che conducono allo stesso mutismo. E ci si ritrova incolpati di omicidio, che forse abbiamo davvero commesso, o forse no. A quel punto allora che importa chi è stato, restiamo a guardare, stupiti e curiosi di osservare la ragnatela preparata appositamente per noi. Abbastanza perverso e sorprendente il nuovo film di Mathieu Amalric tratto da Simenon e che ripensa in una volta sola e sottilmente Chabrol, Hitchcock e Ruiz: La Chambre bleue)
Come sempre non c'è nulla da vedere. C'è l’ombra dell’umanità che siamo stati. E c'è l’ennesima riapparizione del cinema sotto forma dei mille occhi di un Paese allo stremo come la Siria. Che non può far altro che guardarsi e raccontare. Di nuovo silenzio. Nonostante le bombe. Nonostante le torture. Macerie e animali mutilati. Passeggiata sotto le pallottole. Non siamo completamente muti però, nel deserto della ragione, fra le scariche internet e le nuvole di un aereo, si dipana una conversazione testarda e disperata, e tornano le domande: cos’è l’immagine, cos'è il realismo, come si filma la morte, come si filma la vita. Immenso, insostenibile Eau argentée, Syrie Auto-portrait di Ossama Mohammed e Wiam Simav Bedirxan.
(Questo non dovrebbe essere tra parentesi. Una passeggiata notturna sulla Croisette, di ritorno da un party inutile o di troppo. Dalla spiaggia dei bagliori in bianco e nero, un grande schermo vicino al mare, nessuno spettatore. Proiettano 8½ di Federico Fellini, che ho sempre pensato non essere il mio preferito, peraltro di un cineasta che nel tempo, espletate le varie funzioni contenutistico-sociologiche che da sempre lo equivocano, diventa più e più interessante e cresce dentro a tua insaputa. È un piano sequenza che fa perdere la testa, con Mastroianni che scivola fra decine di donne, e davvero sembra non aver mai visto nulla di simile, direi che sono anni che non mi capita un tale disorientamento, fantascienza, un viaggio sulla Luna. Qui non c'è nulla di questa potenza. E da anni. Oppure, a seconda dei punti di vista, poiché nulla sarà come prima, è semplicemente un'altra Storia)