Grazia Paganelli
Una storia vera che sembra un film a partire dai protagonisti e dall’ambiente in cui tutto si consuma: The Bling Ring, il film che Sofia Coppola ha portato al Festival di Cannes (aprendo la sezione Un certain regard) racconta la straordinaria avventura di un gruppo di adolescenti che in poco tempo ha messo a segno furti milionari nelle case dei divi di Hollywood. Arrestati grazie alla telecamere di sorveglianza, sono tornati alla ribalta della celebrità in seguito ad un’intervista pubblicata da Vanity Fair da cui anche il film prende il via.
Coppola mette in scena la sua storia entrando direttamente nelle vite dei suoi personaggi. Non cerca di capire i loro gesti, nè di contestualizzare l’accaduto. Senza dover conoscere i retroscena o spiegare le motivazioni ci si accorge di entrare fin dentro i retroscena e le motivazioni. Quasi un documentario, dunque, ma con la coerenza della finzione, insinuando le storie vere in un mondo pop, caro alla regista di Marie Antoinette e Somewhere. Si resta sulla superficie, ma indagandola con profonda lucidità, si cerca l’aspetto fotogenico, l’elemento da esaltare, da estrarre dal suo realismo, per farne metafora di una contemporaneità urgente, anche se ricostruita osservando una certa distanza. Quasi un musical nelle scene dentro le case, nella frenetica corsa dentro le molte stanze delle molte abitazioni lussuose, una dopo l’altra, con le mani che toccano gli oggetti, prendono i gioielli, gli abiti, in un montaggio che si fa svelto, come svelte sono le incursioni, allegri sberleffi alle videocamere che restituiscono un’immagine ancora più irreale, eppure ancora più vera. Una vita inventata dentro set quasi finti, per quanto siano veri (nella maggior parte dei casi, infatti, le ville derubate sono quelle vere delle star citate), immersi nella notte, con la luce che isola gli ambienti dal resto del mondo e ridisegna il paesaggio. Finzione nella finzione. Verità nella verità. Le luci si acccendono e si spengono, svelano e occultano gli spazi come in una danza, come se stessimo vedendo, una dopo l’altra, le istantanee di quelle avventure che le stesse protagoniste scattano a se stesse in continuazione.
Contaminazione di velocità differenti, di sensibilità talvolta opposte. Quelle che Coppola descrive non sono le scorribande organizzate di un gruppo, ma l’azione collettiva di personaggi differenti, ognuno con la propria personalità. Ecco perché si ha l’impressione di vedere attraverso punti di vista diversi, sguardi che si scambiano e si contaminano per darci l’idea multiforme delle vite parallele che i protagonisti del film stanno vivendo, in senso pubblico, ma anche da un punto di vista più privato e intimo.