Giuseppe Gariazzo

Behind-the-Candelabra-tra-001Se la filmografia di Steven Soderbergh dovesse terminare, stando alle dichiarazioni del regista, con Behind the Candelabra, si chiuderebbe con un capolavoro, proprio a Cannes dove nel 1989 iniziò con un’altra opera sublime, Sesso, bugie e videotape. Con quell’esordio, Soderbergh a 26 anni vinse la Palma d’oro.

Una breve scena in un locale gay di Los Angeles - (sulle note di I Feel Love cantata da Donna Summer), dai colori accesi e con uno specchio che riflette gli sguardi e le poche parole che segnano l’incontro fra il giovane Scott Thorson (Matt Damon) e l’ex coreografo Bob Black (Scott Bakula) - e una scena finale dentro e oltre la morte (nella chiesa dove ha luogo il funerale di Liberace e che si trasforma, nell’immaginazione e nello sguardo commosso di Scott, in un palcoscenico da musical dove è stata trasportata la bara e dove l’artista si innalza come l’angelo-suora di una sua visione avuta anni prima in un letto d’ospedale) incorniciano Behind the Candelabra. Molto più di un biopic o di un film dai costumi sgargianti indossati dal celebre pianista e dagli uomini della sua vita. Soderbergh incastra, nel segno della sua esemplare ricerca formale, una moltitudine di tracce visive ripercorrendo l’ultimo periodo di vita di Liberace (Michael Douglas in performance memorabile), dal 1977 al 1986. Sceglie una regia sontuosa per scivolare negli interni della villa del protagonista a Las Vegas, sugli oggetti, sugli abiti, sui corpi così esposti alla caricatura e alle metamorfosi (determinate dal look, dalla chirurgia estetica) da assumere la consistenza magica di un fumetto, di un cartoon. Sceglie lo sguardo minimale e una luce dalle tonalità base, in contrasto con quella dominante, per esprimere, in poche scene o talvolta in poche inquadrature (quelle nella casa dei genitori adottivi di Scott o i dettagli dell’esterno dell’aereo che riporta Scott a Los Angeles per il funerale della madre); sono passaggi essenziali ma al tempo stesso a margine del corpo centrale, ovvero la relazione fra Liberace e Scott. Sceglie un bianconero plastico e onirico per visualizzare il racconto che Liberace fa della malattia che lo colpì e rischiò di compromettergli la carriera e la vita.

Soderbergh incanta, commuove, diverte. Fa coesistere con naturalezza musical, (melo)dramma, umorismo, erotismo. E informazioni che, con un tratto, documentano gli anni che sta portando in primo piano (si pensi al giornale che in prima pagina dà la notizia della morte di Rock Hudson). Behind the Candelabra è un film di corpi e di ombre, di vita e di morte, di maschere strappate, sollevate, rimodellate. Splendidamente riassunti, i corpi e le ombre, nell’inquadratura in cui Michael Douglas e Matt Damon stanno davanti a una finestra della villa, tirando la tenda bianca, rimanendo nel buio. La loro storia, la loro tormentata relazione, deve ancora iniziare. Quell’immagine ne disegna già tutta la concretezza e l’assenza, la fisicità e la sparizione.