«Tu non hai visto niente a Hiroshima. Niente.» Una delle frasi più famose della storia del cinema, l’incipit durasiano di Hiroshima mon amour. Dopo 53 anni Alain Resnais se ne esce con un’opera dal titolo Vous n'avez encore rien vu, “Voi non avete visto ancora niente”.
Dopo i suoi quartetti, dopo che, con La vie est un roman (1983), inaugura una serie di opere con gli stessi quattro protagonisti, il regista della Nouvelle Vague organizza una chiamata alle armi, un raduno dei suoi attori, sia quelli dei suoi film recenti sia quelli dei suoi classici, convocati per nome uno per uno, Sabine Azéma, Pierre Arditi, Michel Piccoli, Mathieu Amalric, Lambert Wilson, Anne Consigny (singolare l’assenza di André Dussollier). Vengono chiamati a Peillon, per il testamento del regista teatrale Antoine d’Anthac, essendo stati gli interpreti di una sua celebre Euridice. Con un’entrata teatrale, arrivano nel grande salone, contornato di colonne greche colorate, della dimora dell’amico defunto, dove viene loro mostrata, su grande schermo, la registrazione delle sue ultime volontà. E a sorpresa queste consistono nel far vedere la registrazione di una messa in scena dell’Euridice a opera di una giovane compagnia di teatro underground.
Ancora con un richiamo alla classicità, al mito greco con i suoi archetipi, Resnais mette in scena le opposizioni vita/morte - l'amour à mort -, realtà /finzione. La grande sala-teatro, dove inizialmente gli attori sono degli spettatori, seduti sulle sedie a vedere una proiezione, diventa uno spazio scenico che viene sfondato e aperto in due diverse dimensioni metalinguistiche. Da un lato l’interazione, lo scambio di battute con il personaggio del film proiettato, come in La rosa purpurea del Cairo, dall’altro il scivolare spontaneamente tra realtà e finzione, come in Vanya sulla 42a strada. E la rappresentazione nella stanza entra in risonanza e interagisce con quella sullo schermo. Con una fittissima trama di rapporti di contrapposizione e specularità, sdoppiamento dei personaggi, corrispondenze biunivoche, scatole cinesi, split screen, schermo diviso in quattro, occhi di bue. E con un coup de théâtre, l’amore trionferà sulla morte, l’amore disinteressato, l’agape non quello possessivo, l’eros, secondo una distinzione presente solo nel greco antico e non nel latino, come spiegava uno dei personaggi di L'amour à mort. Non c’è soluzione di continuità tra la vita e il teatro, e il cinema. E il tutto inscritto in quel pulviscolo luminoso, quella polvere di stelle fatta di particelle fluttuanti che ricorre nel cinema di Resnais.