Berlinale 67, primi giorni. Tracce al femminile da due registe europee dell’Est, Ildikó Enyedi e Agnieszka Holland, ungherese l’una polacca l’altra, entrambe in fuori quota generazionale, nel senso che non sono certo ultima leva (classe ’55 l’una, ’48 l’altra) come sembra necessario oggi per essere nell’attenzione critica, eppure entrambe capaci di un cinema che ha ancora dentro i segni del rinnovamento di cui, magari marginalmente, sono state portatrici. In Concorso, con On body and Soul la Enyedi e con Spoor la Holland, entrambe hanno segnato questo esordio della Berlinale con due film in cui una sorta di visione magica della realtà, le connessioni tra vita reale e vita spirituale, le transizioni tra relazioni umane e relazioni sociali si coniugano nella traccia di un cinema potentemente visivo, sensibilmente filmico per quanto distante dall’algida materializzazione per così dire realistica della contemporaneità, che preferisce osservare invece di maneggiare, elaborare. Entrambi sono film che hanno a che fare col mistero della natura, con la molteplicità della vita, e nel fare questo elaborano una visione dell’esistente che transita dall’uomo alla società e attraversa la trasparenza visiva del filmare.
On body and soul (A Teströl és Lélekröl) di Ildikó Enyedi è una storia d’amore intangibile, l’ipotesi di un incontro onirico in cui il cinema lascia materializzare il sogno nella realtà, l’effetto “sliding doors” senza dare adito al periodo ipotetico dell’irrealtà di intervenire sulla forza dell’immaginazione: un uomo non più giovane, Endre, un braccio offeso dalla paralisi e una vita crepuscolare all’orizzonte della quotidianità; e una giovane donna, Maria, la vita bloccata da un’introflessione psicologica che rasenta l’autismo. I due si trovano nello scenario cinico e greve di un macello du Budapest: bestie in attesa, carcasse scuoiate, sezionate, analizzate. Lui dirige il carnaio con la dolcezza di un agnello anestetizzato dall’abitudine, lei viene assunta nel reparto controllo qualità dove applica la sua maniacale precisione con impassibile rigore, troppo chiusa e timida per non essere messa subito all’indice dai colleghi come una “strana”.
Gli sguardi a distanza tra i due sono il riflesso di un sogno che – scopriremo e scopriranno anche loro – li unisce ogni notte, inspiegabilmente: in un paesaggio incontaminato un cervo corteggia la sua femmina, vivono un amore che è puro gesto naturale, senza coordinate sociali, senza sistemi sentimentali. La Enyedi sostiene questo paradosso con la semplicità di chi filma il mondo cercando la sua trasparenza: il suo sguardo è tutto focalizzato sui riflessi, sulle smaterializzazioni delle superfici nei giochi di luce, nei tagli che escludono l’ombra e fanno baciare la sostanza immateriale delle cose. Sicché non stupisce che i due universi, quello del sogno e quello della realtà, finiscano col combaciare: un furto nel macello innesca un’indagine e questo in maniera un po’ magica fa sì che Endre e Maria capiscano di sognare ogni notte lo stesso sogno, in cui vivono quell’amore che si stanno negando nella realtà. La loro storia sarà allora quella di chi deve imparare a trovare un contatto al di là di quei corpi che impediscono il confronto, facendo transitare la poesia del sogno nella prosa della realtà.
È tutto un gioco di sguardi e di sfioramenti che la Enyedi costruisce con il gusto dell’irrazionale che caratterizza il suo cinema, in cui - sin dai tempi di Il mio XX Secolo e poi Simon magus e Tamas e Juli - tutto lavora per far coincidere in chiave spirituale la materia della realtà con la sostanza dello spirito. E quindi On Body and Soul diviene lo specchio di una percezione filmica della realtà che narra lo spazio intangibile in cui il contrasto tra la carne e la materia del macello si confonde con la libertà e la leggerezza del sogno, lasciando a Ildiko Enyedi tutto lo spazio visivo di cui ha bisogno per transitare attraverso gli elementi filmici del suo film.
Anche Agnieszka Holland, del resto, transita tra gli elementi di Spoor (Pokot), partendo da un romanzo di Olga Tokarczuk (Guida il tuo carro sulle ossa dei morti, Nottetempo) e costruendo quello che si potrebbe definire un thriller magico animalista. Anche qui la struttura narrativa è libera, richiede immaginazione per quanto poi lo schema sia quello di una vaga detection facile da svelare. Siamo però in un film di Agnieszka Holland e quindi l’impianto funziona per flussi multipli, segue direttive e personaggi sovrapposti, impulsivi e fuori norma rispetto alla caratterizzazione classica. Spoor è un film che funziona come un cubo di Ruibik, devi scomporre e rimondare le facce per avere l’oggetto definitivo: potrebbe essere un thriller animalista, se guardi il plot che vede l’anziana protagonista lottare in difesa degli animali della foresta contro un intero paese di cacciatori che passa l’anno passando da una battuta di caccia all’altra. Ma potrebbe anche essere una storia che attraversa gli intrighi del potere a scapito della vita semplice o ancora una fiaba che vede conniventi uomo e natura contro i malvagi.Â
Facile bollare come un pasticcio questo film che parte da un impulso letterario molto netto e incontra un istinto idealistico molto forte: il film sbanda dietro una sceneggiatura diseguale, ma non importa davvero, perché la Holland maneggia un cinema che conosce le regole della scomposizione e le applica a un filmare molto sapiente, preciso, capace di grandi movimenti e di intime percezioni. Diretto in collaborazione con la figlia Kasia Adamik, Spoor gioca con i suoi personaggi: la protagonista è una santa ma anche, alla fine, una dark lady montana, una ex figlia dei fiori che cerca ancora di tenere viva la vita e acceso l’impegno in un mondo in cui la morte e l’indifferenza dominano tutto. Ci sono momenti di sublime sfasamento fiabesco, coi personaggi che quasi cambiano il pelo a vista, in un transitare continuo di elementi reali e fantastici che non disperdono mai la precisione un po’ enfatica del plot. Bisogna saper percepire la libertà un po’ giocosa e incosciente che una regista non più giovane come Agnieszka Holland ha saputo perseguire nella sua lunga e frastagliata carriera, senpre inconciliata e fuori norma.