altAbel Ferrara s'aggira per Mulberry Street, una delle vie principali di Little Italy, che è stata location di alcuni dei suoi primi film, vagabondando per gli stand in corso di allestimento per la festa di San Gennaro, che dura dieci giorni: questa potrebbe essere la trama. Eppure, nessuno degli elementi appena nominati è l'oggetto del film.


Non è Mulberry Street, di cui vediamo pochissimo, e della quale ci resterà ancora meno, giusto l'immagine di un tramonto fra due edifici; non è Little Italy, evocata nei ricordi come una terra perduta, scivolata via nel tempo, senza che il suo popolo si sia mai mosso da essa ma che l'ha piuttosto tradita, perdendo il legame con essa, esempio (in realtà frequente) di diaspora immobile; non è la festa di San Gennaro, vagheggiata nel corso del film, utilizzata più che altro come reagente in grado di tirar fuori la parte più viscerale di ogni personaggio; non è, infine, neanche Abel Ferrara, che compare spesso in campo, dinoccolato e ammiccante come un guappo di quartiere, guida turistica per sprovveduti e malcapitati forestieri, e insieme amico di tutti gli autoctoni e loro imbonitore.

Più spesso però, Ferrara sembra assente, i personaggi parlano come se non ci fosse e non potesse ascoltarli. Parlano di lui, di loro stessi, di com'era Little Italy; parlano di cinema, di alcune particine avute, di incontri, sequenze e battute che sono valsi loro qualcosa di simile alla celebrità. Un continuo cicaleccio, una narrazione senza inizio e fine, e la camera lì ad assistere al fluire delle parole.
Non esistendo una trama prestabilita, ogni personaggio diventa autore della propria storia: l'oggetto del racconto non c'è e ciascuno di essi tende a diventare il centro della narrazione attorno a cui far ruotare il film. Ma ognuno di questi centri non riesce a costruire intorno a sé alcuna trama stabile, essendo la singola storia ancora in divenire e suscettibile di qualsiasi possibile compimento, talmente precaria da doversi appoggiare a qualcos'altro, in un continuo rimando della fine, in un'incessante proliferazione narrativa.

E forse l'oggetto del film è il narrare stesso, e la camera, ora traballante, ora fissa, è l'occhio che tutto registra, più simile a uno specchio che a una lente. Ferrara sembra assecondare tutto questo, si ritrae dalla funzione classica di autore, pian piano esce dall'inquadratura, esce dal fare il film. Si limita a contemplare, non c'è bisogno di gridare “azione”, il mondo e le sue vicende accadono da soli, il loro “motore” è acceso dall'inizio del tempo. Con la consapevolezza che ogni storia ne implica almeno un'altra e questa altre ancora, in una ramificazione potenzialmente infinita – e l'infinito è inattingibile per noi, che possiamo al limite contentarci di ciò che riusciamo a contenere entro i bordi del nostro sguardo. Mulberry Street concretizza meglio dei suoi precedenti (Mary, Go go tales) una certa tendenza di Ferrara a voler far sì che il film si faccia da solo, che accada come fenomeno tra i fenomeni e al tempo stesso sia loro rappresentazione.

Viene il sospetto che Mulberry Street probabilmente non esista, o che forse ne esiste solo la riproduzione cinematografica. Tutto appare posticcio, costruito a bella posta per una festa nella quale sembra non credere più nessuno. Ci rimangono solo la rappresentazione e il suo racconto. E i personaggi, che in un continuo riflesso si ritraggono dinanzi allo specchio della macchina da presa, creano un luogo della memoria, che racchiude dentro di sé altri mondi, passati o immaginari, vissuti o solo sognati; un luogo che non è dato dall'insieme dei punti di vista, ma dal movimento da un punto di vista a un altro. Un luogo chiamato cinema, ovviamente, che può trovare spazio ovunque, e che per l'occasione ha scelto come location Mulberry Street.





Titolo: Mulberry Street
Anno: 2010
Durata: 87
Origine: USA
Colore: C
Produzione: MST PRODUCTIONS

Regia: Abel Ferrara

Attori: Danny Aiello; Frank Aquilino; Frankie Cee; John 'Cha Cha' Ciarcia; Abel Ferrara; Shanyn Leigh; Jon Levy; Matthew Modine; Gianni Russo; Frank Vincent; Paul Zucker.
Fotografia: Jimmy Lee Phelan; Douglas Underdahl; Sean Price Williams
Montaggio: Byron Karl; Joseph Saito
Musiche: Stumblebums
Suono: Neil Fazzari; Thomas Myers


Reperibilità



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