L'influenza o dell'inesorabile precipitare di una donna che perdendo il lavoro si impone l'autoesclusione dal mondo, abbandona le abitudini, dimentica i figli e sé stessa.
Svegliarsi, uscire di casa, accompagnare i figli a scuola, andare a lavoro, aspettare la sera, preparare la cena, mangiare, dormire, ricominciare. Finché il meccanismo della monotonia delle azioni quotidiane si inceppa per il sopraggiungere di un evento temuto e atteso da respingere come una lontana certezza: la perdita di una sicurezza apparente che consisteva nell'occupazione di uno spazio, un posto invisibile, estraneo e inespugnabile come una fortezza nel deserto.
Le abitudini si sgretolano sotto il peso di giornate che non possono cominciare, i gesti si succedono nell'evidenza del progressivo e inarrestabile svuotamento di senso che non alleggerisce e inchioda gli arti a un'immobilità senza scampo. La Madre abdica al suo ruolo, l’affezione degenera in morbo incurabile, in infezione contagiosa che necessita l’isolamento assoluto e brutale dal mondo. Lei è il melanconico pianeta in attesa della collisione con la terra, il residuo di un corpo (in-)curato, arreso all’entropia, teso verso una linea di massima pendenza che annulla tutti gli spazi possibili fuori da quel tetro locale soffocato da accessori per l’estetica. I trucchi non bastano a rifarsi una maschera convincente per affrontare la desolazione di un reale non più gestibile, solo l’apparizione di un raro cliente lascia sperare che la svolta sia finalmente vicina; ma l’immobilismo resta totale e terrificante e costringe ad aspettare nient’altro che la sera. Nessuna disposizione d’animo affettuosa la lega ai suoi due bambini, l'affezione è semmai il sintomo di un organismo oppresso dalla malattia, infezione appunto, che presagisce l’assorbimento entropico, la morte termica dell'universo stesso.
Nel suo primo lungometraggio, Pedro Aguileira (già assistente di Reygadas per Battaglia nel cielo) usa prevalentemente piani sequenza e primi piani (il film comincia con una sequenza della donna di spalle, immobile, intenta a comprare degli antidepressivi) per documentare lo schianto prossimo di un’esistenza anonima1. L'integrità del primo piano è lentamente compromessa da un graduale farsi a pezzi dell'immagine: il corpo della Madre si distacca dall'insieme per mutarsi in oggetto parziale e disgregato, la figura si astrae da ogni coordinata spazio-temporale, ogni cambiamento di posizione rispecchia un'incapacità di decisione, un rotolamento bressoniano, assoluto e irreversibile. Per dirla con Deleuze (), la mutazione del movimento cessa di essere «traslazione per diventare espressione» (p. 118). La violenza originaria permea ogni luogo, fiaccando il corpo secondo un processo di degradazione della materia e dell'energia fino alla scomparsa definitiva di qualsiasi angolo di mondo: «L'espressione d'un volto isolato è chiusa in se stessa e perfettamente comprensibile: non v'è bisogno di pensare a null'altro nello spazio e nel tempo. Non importa che un momento prima abbiamo visto quel volto come parte integrante di un corpo. Vedendolo isolato, ci troviamo improvvisamente soli, a quattr'occhi con quel volto. Non importa che prima lo abbiamo visto in un grande ambiente: vedendolo isolato, dimentichiamo l'ambiente che lo circondava. L'espressione del volto, e il significato di tale espressione, non hanno alcun rapporto o legame con lo spazio. Dinanzi a un volto isolato non ci sentiamo nello spazio. Non esiste più, in noi, la percezione dello spazio. Per noi esiste una dimensione di altro genere.» (Balázs , p. 56).
Lo scorrimento rallentato delle attività trova sempre un ostacolo contro il quale schiantarsi, la maschera si decompone in un ghigno pagliaccesco che è preludio di una follia generale, impietosa. La vera malattia è nell'attesa di un'occupazione frenetica che travagli il corpo e occupi la mente, un qualsiasi lavoro apparente che scongiuri l'inazione e il prosciugamento delle volontà.
Nota
1. In Naufragio (2010), il regista non perviene alla stessa convincente astrazione di senso, la ricerca dell’immagine evocativa intacca pretenziosamente il tentativo di superare il mero dato esperienziale.
Bibliografia
Balázs, Béla (2002): Il film, Einaudi, Torino
Deleuze, Gilles (1993): L'immagine movimento. Cinema 1, Ubulibri, Milano
Titolo: La influencia
Anno: 2007
Durata: 83
Origine: SPAGNA, MESSICO
Colore: C
Genere: DRAMMATICO
Specifiche tecniche: AATON S16, 35 MM (1:1.66)
Produzione: MANTARRAYA PRODUCCIONES, MALDOROR, ALOKATU, NODREAM CINEMA
Regia: Pedro Aguilera
Attori: Paloma Morales Aguado (Madre); Romeo Manzaneado Morales (Romeo); Jimena Jiménez Morales (Jimena); Gustavo Matías Prins Lopez (Ragazzo); Claudia Bertorelli Parraga (Direttrice della scuola); Casilda Aguilera Sagarminaga (Casilda); Álvaro Moltó Chinarro (Uomo); Ramón Ángel Moreira Sánchez
(Avvocato).
Sceneggiatura: Pedro Aguilera
Fotografia: Arnau Valls Colomer
Musiche: Thomas Tallis
Montaggio: Pedro Aguilera; Javier García de León
Scenografia: Elsa Mirapeix Llorden; Macarena Begoña García Vivo
Riconoscimenti
Reperibilità
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