Esiste il tempo del cinema e un cinema che si pone orgogliosamente fuori dal tempo. Bertrand Mandico non è solo l’autore di un film, ma l’artefice di un mondo.
Come uno stregone chiamato a custodire il segreto dell’ultima lanterna magica, compie un vertiginoso balzo all’indietro. Non verso il regime unico del verosimile fotorealistico digitale, ma tornando alle origini stesse del cinema evocando così un vero e proprio pantheon di divinità cinematografiche. Si badi, egli non è un pasticheur citazionista, ma un creatore di forme originali che se da un lato richiamano i segni del passato, dall’altro se ne appropriano con una tale forza, addirittura violenza, da infrangere con olimpica leggerezza la barriera che separa la citazione dalla creazione.

Nell’epoca del green screen e della motion capture, il regista riattualizza il fascino indiscreto del fondale, della retroproiezione, della dissolvenza incrociata e di tutti gli altri artifici che da Méliès in avanti hanno contribuito a dare corpo alla macchina del cinema. Il rito palingenetico officiato da Mandico evoca Jean Cocteau e Mario Bava, Kenneth Anger e Jacques Tourneur, Edgar G. Ulmer e Rainer W. Fassbinder, Walerian Borowczyk e Nathan Juran, Jean Vigo e Fritz Lang e chissà quanti ne dimentichiamo...

Il regista crea così un luogo di cinema assoluto, monumentale nel suo pulsare febbricitante, nel quale i bambini terribili di Cocteau si trasformano in riluttanti capitani coraggiosi in viaggio verso la Brest del marinaio Querelle sui quali aleggia il fantasma dei ragazzi selvaggi di William S. Burroughs.

Mandico si sposta dunque alle origini stesse del cinema, con una scelta spudoratamente inattuale, per interrompere, spezzare, il regime unico del visibile ammesso. Ossessionato dalle infinite possibilità di mutazione del cinema e delle sue epifanie, immagina, nel senso proprio di mettere in immagini, il cinema del domani come interruzione del monopolio maschile della verosimiglianza. Le magnifiche interpreti, chiamate a impersonare gli studenti che per essere rieducati dopo un feroce stupro consumato ai danni della loro insegnante di letteratura devono imbarcarsi sulla nave di un capitano che promette di “rieducarli”, sono i segni aurorali di un cinema a venire. La promessa di un’epifania. Naufragati su un’isola (che ricorda quella misteriosa di Jules Verne anche se è descritta come un’ostrica…), alle prese con una vegetazione lussureggiante e lussuriosa, fra liquidi bianchicci e ragnatele lattiginose, i ragazzi si troveranno di fronte a una scoperta sconcertante.

Utilizzando musiche di Offenbach e della Nina Hagen Band, dei Cluster e degli Stranglers, Bertrand Mandico crea una turbinosa ronde erotica dominata da pulsioni tattili e desideri inconfessabili. Il cinema torna a essere fucina di fantasmi e di corpi da riscrivere. I dialoghi del film, volutamente aulici e letterari, come residui di un romanzo d’appendice dimenticato fra le pieghe dell'Ottocento, contribuiscono ulteriormente al fascino arcaico e volutamente desueto di un film che affronta a testa bassa la mancanza di seduzione del cinema contemporaneo.

Un cinema orgogliosamente inattuale, dunque, che si posiziona volutamente al di fuori dei discorsi dominanti, rifiutandoli in nome della possibilità di reinventare il cinema come un lucernario del dottor Caligari popolato da celestiali (infernali?) macchine del desiderio. Contro la logica dello sfruttamento seriale dei corpi, umiliati dal primato cosmetico di una bellezza a termine, Les garçons sauvages rilancia la necessità (e il piacere…) dello scandalo come possibilità per rifondare l’orizzonte dello sguardo e del godimento.


 

La proiezione del film Les Garçons Sauvages si terrà martedì 12 dicembre 2017 alle ore 20:30 presso il Cineporto di Bari (Fiera Del Levante, Lungomare Starita, 1). La proiezione è a ingresso gratuito fino a esaurimento posti e disponibile in streaming presso i cineporti di Lecce e Foggia.

Saranno presenti in sala il regista Bertrand Mandico e il critico cinematografico Raffaele Meale. Introdurrà Luigi Abiusi.