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  • C’è sempre qualcosa di cupo nel cinema di Saverio Costanzo, delle zone d’ombra o zone morte, zone di morte, in questo caso, di morta: tutto un ecosistema che vibra di crepuscolo (e d’alba: sono intermezzi luminosi, limini di dormiveglia) in cui si consuma l’esistenza dei personaggi. Finalmente l’alba è l’apoteosi di questo ecosistema - apoteosi barocca, carica di materiale audio-video, segni, sagome anarchiche che sembrano straripare dagli argini dell’inquadratura -, vera e propria apologia del cinema e più in generale dell’immaginazione, della necessitata, imperitura narrazione di forme di cui siamo fatti, di cui siamo sfatti, spossati ogni volta le forme svaniscono facendoci affacciare sul gouffre, il vuoto, infinitamente profondo: è quella teoria dell’abisso presente anche nei film di Bonello e Kröger.

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