Più che per “esprimere”, nel senso dell'etimo latino exprimĕre”, “spremere fuori”, e quindi manifestare verso l'esterno, Gold Mass la musica la fa per “im-primere” o forse per “in-scrivere”, scriversi cose dentro, appunti vergati sulle interne pareti del fegato e del cuore, in una dimensione del discorso che è tutta interiore, sua soltanto.

Chi vuole, passante casuale, può fermarsi ed ascoltare, ma senza invito e sapendo di stare origliando la conversazione intima di un'anima con sé stessa, scritta e composta, appunto, come confessione, nota segreta di diario esistenziale, e non perché voi la ascoltiate. Safe, in uscita il 18 Giugno, è l'EP che licenzia, un singolo alla volta, come prima avventura autonoma anche sotto il profilo della produzione dopo la collaborazione super internazionale di Transitions con Paul Savage, produttore quasi leggendario di Mogway e Franz Ferdinad.


E con questo secondo lavoro di studio si riconferma, e meglio si specifica, la sua poetica tutta femminile e di profondità, eterea e chiaroscurale al contempo, in cui la levità di melodie e costrutti armonici viene lasciata collidere con certe ruvidità occasionali che si manifestano soprattutto in parti ritmiche più sintetiche e sature, quasi leggermente distorte, piene di un pathos dolente, ma sempre di registro estremamente intimo. Non è mai un grido verso l'esterno, quello che lancia Gold Mass, ma la forma sonora di un avvenimento-constatazione che accade nel suo interiore, sempre un qualcosa che avviene tra viscere e anima prima ancora che sull'epidermide.
È così che procede, ad esempio Space, terzo estratto dall'album, che sembra depositare una riflessione accorata sul senso dell'amare, privato di protezione e rifugio, il sentimento che diventa distanza.

Nobody is in love
blessed by a glowing heart
Nobody's home now
admiring stars
Nobody knows how
far


«Sembra depositare», scrivo, e non per caso, perché l'esegesi letteraria, in questo caso, è da declinarsi sempre al condizionale proprio per quella qualità intrinseca di questa scrittura che non pretende di spiegare agli altri le cose, non vuole comunicare nel senso razionalizzante del termine, ma semplicemente "evoca", richiama attraverso piani metaforici che si intrecciano e collidono ad uso esclusivo dell'artista stessa. Le armonie e le melodie elegantemente congegnate da Gold Mass, depositarie della sua formazione conservatoriale (è diplomata in pianoforte) si giovano del portato emotivo di sofisticate pratiche di elaborazione digitale e programmazione dei suoni, che usa con consapevolezza linguistica (è laureata in fisica del suono) e con non comune pertinenza di senso, in costrutti musicali che non si limitano ad accompagnare il senso dei testi, ma che sono parte cospicua di questa significazione.

Nell'incpit di Space la sostanza vellutata della voce si distende direttamente sulla matericità di una drum machine spigolosa e solida, dal ritmo sghembo, più lento del cuore, che tira pugni con una cassa satura di bassi, gonfia, ma leggermente graffiata, e colpi di rullante distorti, taglienti di frequenze medio alte, una sorta di distorsione timbrica che ne evoca una emotiva. Se dovessi cercare un riferimento noto, forse per colore e atmosfera, ma solo per quello, mi potrebbero venire in mente i Portishead nei loro passaggi trip hop più ombrosi e dal suono più scuro, ma con una sensibilità timbrica, un approccio finale ai suoni, più segnato dall'influenza di una electro-dark più moderna e sintetica, più vicina a quella di artisti come Svedaliza.

Un'approccio all'arrangiamento che cerca di lasciare spazio e tempo per le sospensioni, le pause, e per la voce: « il bpm di questi pezzi è lento, lascia tutto lo spazio possibile al silenzio e alle pause. Ho ridotto al minimo la sezione ritmica, di modo che non risultasse ingombrante ma lasciasse tutto lo spazio possibile all’immaginazione e soprattutto alla voce». L'apertura del costrutto, dopo la ritmicità serrata e rilenta delle strofe introduttive, arriva quando il testo cerca la dimensione del confronto con l'alterità:

Flames you discover
following other souls
Aims you recover§
out of the space we know

Anche se si tratta di un'apertura contenuta entro i limiti dell'anima, sonorità che non risuonano verso l'esterno, per exprimĕre in favore di chi ascolta, ma trovano la forma snella di lunghi pedali di accordi sintetici conchiusi in sé stessi, armonie interiori, come ovattate dalla presenza del corpo che le contiene. A partire da qui Gold Mass articola un racconto delle emozioni che alterna queste strofe più chiuse ed essenziali ad aperture dalla marcata strutturazione armonica in cui, ad eccitare la valenza emozionale di giri di accordi sognanti e leggermente dolenti, è la “materia digitale” dei suoni.
L'uso altamente espressivo che Gold Mass fa dei filtri e delle risonanze, dei tempi di decadimento dei riverberi, delle frequenze basse come delle distorsioni. Si tratta di una vera e propria “partitura emozionale ulteriore”, essenziale quanto quella strettamente musicale, che teatralizza tutta la costruzione, crea improvvise sottolineature drammatiche, evoca emozioni urgenti, sospensioni e distanze siderali parlando esclusivamente attraverso l'alfabeto implicito delle lunghezze d'onda e delle variazioni frequenziali. Con Space si parte per un viaggio lento e sincopato in un mondo artificiale di suoni e di parole che invece di “spiegare”, evocano per via poetica, ma di una poesia prima sensoriale che “verbale”, con un'anima scura e sintetica, elekctro dark, ricca di sonorità astratte, “spaziali”, che però si nutre di melodie ed armonie di solida concezione, dolci ed ariose quando serve, capaci di Pathos e drammaticità nei momenti giusti.

Mi pare, e aggiungo in chiusa alcune considerazioni del tutto personali, che questi nuovi brani di Gold Mass (di pochi giorni fa è l'uscita di un nuovo singolo, Souls), riconfermino l'idea di una possibilità nuova, una forma di svecchiamento sostanziale e strutturale, di quel concetto ad oggi un po' liso di “cantaurato” che da ormai più di mezzo secolo si usa per indicare l'idea di quella musica che predilige i contenuti (musicali e poetici) all'adeguamento delle forme estetiche alle mode e alle tendenze del momento. Un'idea di cantaurato allargata in cui la componente autoriale del termine non è più circoscritta alle attività di composizione di un testo letterario rispetto al quale si dovranno adeguare strutture armoniche e melodiche di suoni già dati, come quelli resi possibili da chitarre, violini, e pianoforti, gli strumenti “analogici”, ma in cui diventa essenziale anche la possibilità di costruire e manipolare secondo intenti di significato precisi la materia sonora stessa. Un cantautorato in cui anche le architetture interne del suono, il modo con cui si sviluppa nel tempo, con cui decade, si apre o si richiude nello spettro delle frequenze si fanno portatori di significati voluti e ricercati in misura non inferiore a quanto già non facevano gli arrangiamenti e le parole. «Tutto parte dalla ricerca del suono che descriva al meglio un ambiente, una tensione, un paesaggio che ho in mente». Suoni-ambiente, suoni-territorio, concepiti in termini di visione, di paesaggio visualizzato o emozionale, che fondano una narratività a-verbale e tutta spesa nel dominio della percettività più limpida, in cui sono le qualità spettromorfiche, i timbri, le altezze tonali e di spazialità del suono ad evocare la visione uditivamente indotta.

Nell'incipit di Gravity apre con un suono “spaziale”, di quelli che sarebbero stati perfetti all'inizio di un episodio della prima serie televisiva di Star Trek, «spazio ultima frontiera...», per poi ripiombare sul suolo terrigno di una cassa pesante, rigonfia di basse e distorta, come in un passaggio fisico dall'etereità siderale alla densità magmatica di suolo, un tragitto tutto indotto dalle differenti identità frequenziali dei suoni e che attiene al concept di viaggio che informa tutto il disco. Un cantautorato “espanso”, come dicevo, in cui trova un ruolo rinnovato anche l'uso vocale, che da un lato mantiene la sua centrale funzione di evocazione poetico-verbale di «ponte verso il mondo interiore», che per lei resta un pilastro di costruzione dei brani, ma che al contempo diventa, assoggettata a pratiche di rimanipolazione ed effettazione di postproduzione, anche una vera e propria fonte di suoni strumentali, un “synth biologico”, dico io, con funzioni compositive e musicali di importanza primaria: «La ricerca vocale è molto importante per me, e avviene in più momenti durante la scrittura di un pezzo, a partire dalla scelta delle parole anche in base al loro suono, all’emissione in fase di registrazione della traccia vocale, fino alla postproduzione della forma d’onda. Adoro anche includere il respiro come elemento compositivo, e glitch vocali che a tratti assumono proprio il ruolo di assoli di uno strumento musicale.» Velluto e ruggine, il cielo stellare traguardato da un luogo intimo e chiuso dentro all'anima, la voce come seta, drum machines come metallo e suolo, forse è nei suoi contrasti che dobbiamo cercare l'essenza poetica di questa artista, e di questo suo disco fatto di spazio e terra.



Tags: