Michele Sardone

altSe ogni favola ha in sé una prova da superare, She’s funny that way di Bogdanovich la pone all’inizio chiedendo di fingere di credere in se stessa; superata questa condizione preliminare, ci si lascia prendere dal gioco di classici meccanismi cinematografici, che trovano nella coincidenza il dispositivo capace di far funzionare tutto il congegno filmico a meraviglia, sempre più freneticamente, fino a dare l'impressione di farlo girare a vuoto.

La protagonista e narratrice, Isabella, difatti inventa un mondo in cui tutto combacia e si incastra alla perfezione, in un incanto continuo, affascinante per la sua esatta meccanicità, secondo il quale ogni personaggio diviene ingranaggio che incastra il proprio movimento in armonia con quelli degli altri comprimari. Ognuno di essi è condotto dalla propria natura fantastica a confluire negli stessi luoghi, che diventano topos: camere d’albergo, il ristorante, lo studio della psicoanalista, il palcoscenico di Broadway, che insieme tracciano un microcosmo affollatissimo e al tempo stesso quasi spopolato, come se New York fosse stata improvvisamente ridotta in scala, piccolissima, e a pochi ambienti, nei quali vagano, incontrandosi, solo alcuni sopravvissuti.

Ciascuno di questi spazi diviene scena in cui mettere in atto la propria storia, in un organico e ordinatissimo caos, che viene percepito come una banale confusione solo se visto dall’interno, dove non è possibile avere una visione complessiva della trama. In questo modo ogni personaggio non può che ricadere nei soliti errori, ossessioni, inganni, tradimenti, non può cioè che agire in quella che, sotto la lente dell’esperienza quotidiana appare come la maniera più sbagliata possibile, ma che è esattamente il modo giusto per far sì che l’impianto narrativo regga. Nel salto da un punto di vista interno a uno esterno, cioè nel cambio di prospettiva da personaggio a narratore (che pare coincidere con quello dello spettatore), da un mondo ridotto in scala a una visione generale della trama, sta l’effetto magico del film: noi che vediamo tutto possiamo sapere tutto, ogni dramma inscenato ci appare un piccolo equivoco, crediamo sul serio di poter anticipare ogni tranello del destino e di poterne forse indirizzare il corso.
Ma una volta che quasi ci si dimentica di aver finto di credere nella favola, ecco che appare il deus ex machina a ricordarci di aver vissuto una fantastica illusione.