altSolo il corpo ferito esiste
J.B.

La grammatica è una macchina splendente, riflettente, raggiante (che poi la macchina, lo strato veloce, la sezione lamierata, specchiata è sempre, ad esempio: nell'abuso fotografico di porzioni d'alluminio, di riflessi obliqui su automobili lustre, e membrature, e interstizi cromati. Quindi abitacoli, telai, portiere angolate... e nel vetro, nel mezzo, prospettive e cruscotti di luce, lazzi di fori, schizzi e cavità in finiture. «Tutti i termini erotici sono tecnici e il godimento è mediatizzato tramite un apparecchio tecnico, attraverso una meccanica, e si riassume in un unico oggetto: l'automobile»[Baudrillard, 2010]. Questo vuol dire che una nuova edilizia spaziale, un nuovo stato metabolico sgorga dalla macchina, e che nelle sue periferie si situa il nuovo sangue).


Dunque la semiotica dell'oggetto, dell'oggetto nell'immagine, che si fa simbolo, concetto: lettera (e poi grammatica), la grammatica stessa che qui la descrive (a tal proposito si dice che il linguaggio alle sue origini fosse il segno trasparente, visibile delle cose a cui riferiva, poiché ad esse assomigliava sino a divenirle).

Harley si è sempre occupato di una nuova maniera di fare e connettere le cose: le giustapposizioni, gli accostamenti, i tratti comuni, le stranezze fittizie o reali dei personaggi applicate a un'esposizione periferica, irruttiva, lenta di limpide assenze, assieme a un'eccitazione mista a un'eterna sensazione d'orrore – che poi è godimento viscido – per la prossimità a esseri triviali, stravaganti, alienati, a una certa selvaggeria: quindi una spia, un ladro, un perverso, un idiota, una lasciva... nel senso: «si è attratti nella stessa misura in cui si è negletti» (Foucault, 1998). Sarebbero immersioni su corpi aurorali: gabbamondo e danneggiati, beltà civette, stupori putrefatti a concludersi in un danno elettrico, in una corrente che sovreccita. È come se ad interessarlo fossero gli sconfitti, e in un certo senso parrebbe di sorprenderlo Hartley, a citare se stesso, ma in una deformazione costante, in un tempo privo di profondità, senza riverberi, un abisso di torpori: Samuel formulerà a Ned la sua poetica: «People want a good laugh now and then, good old-fashioned slapstick humor, naughty innuendo, a few well-placed fart jokes. Enough with the earnest reflection, the tragic but unifying elusiveness of the human spirit in modern times, and so on. I’m through with it». E Ned è una proiezione quasi diretta di Hartley stesso (anche le sonorizzazioni sono firmate con lo pseudonimo Ned Rifle).

Il linguaggio dei personaggi è un fatto di assenze, di distrazioni: il loro sguardo è obliquo, sub-lunare, si proietta oltre e fuori, evita l'incrocio, evita l'altro (si dialoga in controcampi), il discorso è interferenza, malinteso, si increspa continuamente e c'è un movimento aggiuntivo nei personaggi, dove il termine aggiuntivo va preso alla lettera: uno spingersi inconsapevolmente verso il cuore centrale, verso Henry (così il primo incontro tra Ned e Susan, all'apparenza coinvolto, eppure distratto). Un rapporto senza rapporto, un essere-insieme nella disgiunzione: gli esseri umani di Hartley «hanno il potere di cadere in trances, possono infiammarsi di una furia demoniaca, rimuginare, o passare rapidamente dalla disperazione alla beatitudine» (Nin,1988), con le teste piene di nebbia, mezzi intontiti, essere deformati nell'astrazione, vaporizzati nella spontaneità.

Ad esempio in Simple Men (1992) la rivolta compiuta fu quella di codificare un paradossale istituto visionario fatto di riflessioni totemiche e brandelli sonori a mescolarsi in nuovi vuoti d'alienazione, come se tutto poi appartenesse al sogno, alla mente sintetica, al feticcio sonico, come se non ci fosse un fuori, e noi fossimo all'interno di una proliferante rifrazione a circuito, un virtuale negativo, senza progresso, pericoloso e irrespirabile.
Quindi a partire da Henry Fool (1998) – costretto, inflanellato, poi veggente di terminazioni e cablature (a predire brillante la virulenta diffusione dell'internet), localizzato e paralizzato nella vita ipnotica – Hartley comincia a Woodside Queens l'evoluzione genealogica della trilogia sui Grim. E fa un ritratto solarmente occulto di Henry: un Mefistofele neanche troppo intelligente che scivola e entra negli altri come devianza e insinua sessualmente come frattura, e spinge, connette il perverso; la sua immagine adescata e adescante, sacrale, incestuosa – al limite del primitivo – è regolatrice di flussi umani e cambiamenti (il molle Simon, da netturbino a poeta dell'abietto).

Il suo arrivo sfonda, vivifica, riprogramma, come nel sequel Fay Grim (2006), attorno a una morbida astronomia di terrorismi, spionaggi e conversioni neuronali. E «l'11 settembre è partecipe di questo, il terrorismo è solo la metafora» (Baudrillard, 2010) di una nuova potenza alternativa, di un nuovo spettro indistruttibile, quello della seduzione dell'antagonista. Il linguaggio è opaco, misterioso, segreto, una «massa frammentaria e enigmatica, mescolata alle figure del mondo e in esse confusa» (Foucault, 2015); un corpo indecifrabile, chiuso in se stesso in cui ritorna di colpo un oggetto controverso, inestricabile: una scatola ottica per visioni sensuali. Fay seduttiva, magnetica, ma che nel consacrarsi a oggetto perde di sovversione.

Al di là di tutto, al di sopra di tutto con Ned Rifle si scolpisce lo spazio aggiunto di una paranoia riordinata, soppressa e dissimulata, malata di stereotipie e autismi; in un punto delirante s'interrompe qualcosa, s'impedisce qualcosa, e il fantasma dei Grim agisce e produce un nuovo esercito di rivoluzioni a combattere lo spettro paterno fino al parricidio. E l'essere qui è un esserci nel bordo, ricostruirsi in «un familiarismo di gruppo, in una banda umana, in un fascismo di muta» (Deleuze, Guattari, 1996), in un rapporto che diventa comune movimento d'insieme, contagio circolare, imitazione: famiglia.

La sincerità di Hartley ritorna nella descrizione minuta delle intermittenze estetiche (Susan è più volte alle prese con un fastidioso fazzoletto), e in un tale movimento persino l'adempimento della sanzione è solo un pretesto, non si «fa appello a quel sentimento di pietà demente che è il servilismo» (Bataille, 2013) dell'immedesimazione nei personaggi, non c'è nessuna presa di coscienza o perdita di questa, non si eccede mai neppure degrado, non c'è sguardo morale, piuttosto una premonizione, uno splendore di violenza sopita, un non-desiderio che si sessualizza simulando.

Le moltitudini di Hartley parlano “da moltitudini”. Faulkner riportando un articolo di Gould a proposito di The Hidden Player, scriveva: «la gente non parla così, non basta annotare discorsi comuni della gente comune; il risultato sarà sempre qualcosa di monotono […], accanirsi sul dettaglio è fuorviante». Hartley riesce nell'occasione di raccontare invece una lingua che non sottomette il linguaggio alla forma sanificata del cinema, ma anzi aggrega e srotola orizzontale una grammatica autonoma su linee virtuali, una lingua psicotica che è «prolungamento ideale di un gruppo umano a venire» (Deleuze, Guattari, 2006), una lingua densa, secrezione priva di confini, «un flusso, un impeto, un gesto lungo, intenzionale e un poco inelegante; qualcosa di ossuto, forse; non sgraziato ma troppo affaccendato per curarsi della grazia […], vorace non di carne ma di velocità e distanza» (Faulkner, 2010): dunque una lingua vera, domestica, al di là del linguaggio, ben prima del linguaggio. Poiché un linguaggio è per sua natura incomprensibile ci si è ridotti a parlare, indotti a rispondere, a rendere conto, dunque a dissolverlo il lessico, a incenerirlo.

Il sonoro poi non oltrepassa ma annuncia. Al di là del corpo compenetra, penetra come lingua, mescola all'immagine come saliva un vuoto anatomico senza principio, senza membra, come «corpi o oggetti che non sono che corpi e oggetti inqualificabili, e tanto più concreti che sono indeterminati» (Artaud, 2004). Siamo in un deposito di immediatezze, di vuoti, imprecazioni e fallimenti comunicativi; la messa in scena sarebbe una forma intraducibile della realtà ma che, in quanto realtà questa appare come un corpo erosivo estensibile a dismisura.
Dunque una chiusura della trilogia tuttavia necessaria che nel suo limite finito non considera l'unicità, la singolarità insostituibile poiché si ripete in impianti di re-interpretazione, precisamente: rapporta, finisce, presuppone ma non crea. Cosicché la poesia pura non è che quella che non vuol dire niente, ma che frequenta e brucia e impudica aderisce. E l'attrazione poi non ha nulla da offrire se non il nulla (Foucault,1998)


Filmografia di Hal Hartley

Simple Men (1992)

Henry Fool (1998)

Fay Grim (2006)


Bibliografia:

Artaud A. (2004) Succubi e supplizi, Adelphi, Milano

Bataille G. (2013) Il problema dello Stato e altri scritti politici, Casa di Maranni, Brescia

Baudrillard J. (2010) Cyberfilosofia, Mimesis edizioni, Milano - Udine

Deleuze G., Guattari F. (1996) Come farsi un corpo senza organi, Castelvecchi, Roma

Deleuze G., Guattati, F. (2006) Millepiani, Castelvecchi, Roma

Focault M. (2015) Le parole e le cose, un'archeologia delle scienze umane, Rizzoli saggi Bur, Milano

Foucault M. (1998) Il pensiero del fuori, SE, Milano

Faulkner W. (2010) Discorsi e lettere, Il saggiatore, Milano

Nin A. (1988) D. H. Lawrence, uno studio non accademico, Bompiani, Milano



 


Titolo:
Ned Rifle
Anno: 2014
Durata: 85'
Origine: USA
Colore: C
Genere: DRAMMATICO
Specifiche tecniche: 1.85 : 1
Produzione: POSSIBLE FILMS

Regia: Hal Hartley

Attori: Aubrey Plaza (Susan Weber); Parker Posey (Fay Grim); Liam Aiken (Ned Rifle); Robert John Burke (Chet); Bill Sage (Bud); Martin Donovan (Rev. Daniel Gardner); James Urbaniak (Simon Grim); Lloyd Kaufman (Zach); Jefferson Mays (Dr. Ford); Gia Crovatin (Olive); Thomas Jay Ryan (Henry Fool); John Ellison Conlee (Sheriff); Karen Sillas (Alice Gardner); Bob Byington (Concierge); Quincy Tyler Bernstine (Mary) 
Sceneggiatura: Ned Rifle
Montaggio: Kyle Gilman 
Fotografia: Vladimir Subotic
Musica: Hal Hartley

Riconoscimenti

Reperibilità


http://www.youtube.com/watch?v=tDroGutelt4 

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