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Storia di uno spacciatore (il “Dealer” del titolo), impegnato nel distribuire dosi a stupefacenti casi umani. Una di questi sostiene di avere avuto una figlia da lui. Lo spacciatore si affeziona alla bambina e incomincia a cambiare il suo punto di vista sulle cose: va a trovare il padre, ancora sconvolto dalla morte assurda della moglie; incontra un vecchio amico, adoratore del dio sole; chiude la propria insoddisfacente storia con una ragazza. Quando la presunta figlia respinge con delicatezza le cure dello spacciatore, questi decide di suicidarsi, lasciandosi bruciare nel solarium ereditato da un suo cliente.




«E se la morte non fosse altro che suono? Rumore elettrico. Uniforme, bianco. A volte mi invade. A volte mi si insinua nella mente, a poco a poco. Io cerco di parlarle. “Non adesso, morte”.»
(Don De Lillo, Rumore bianco)

 

L’ininterrotto vagare del Dealer in un mondo inscheletrito segue la progressiva e costante consumazione del film stesso, di ogni suo supposto elemento narrativo. Se Forest, precedente lungometraggio dell’ungherese Fliegauf, si pone come tentativo di risolvere la molteplicità delle vite individuali in un trascendente sentimento di comunanza collettiva, Dealer è presa d’atto dell’impossibilità del singolo di tramutare in esperienza (e quindi in racconto e condivisione) gli accadimenti che avvengono al di fuori di sé. E se non può esperire, il Dealer può solo assistere: e noi con lui.

L’algida fotografia del film è aura della rassegnata quête con cui il protagonista riesce a  proteggere se stesso dal contagio del desiderio di autodistruzione che ogni suo cliente soddisfa nell’assumere droga. Nella composizione dell’inquadratura il Dealer non si colloca mai sullo stesso piano del suo interlocutore, come a rendere la riluttanza dei singoli a voler realmente comunicare fra loro, preferendo ricercare una propria significanza nell’unica esperienza possibile, la dissipazione del proprio corpo. Ogni cliente porta allo stremo il suo organismo: il santone, vittima di una eccezionale costipazione dovuta alla sospensione dell’assunzione di droga, riuscirà a liberarsi con una spettacolare deflagrazione scatologica stimolata dalla dose; l’istruttore di una palestra vorrà sgravarsi del peso del suo corpo orribilmente ustionato attraverso un’overdose; una adolescente non riesce a spezzare il loop dei suoi deliri allucinati... Ognuno, in sostanza, tenta di proiettare la consumazione di sé, che è al tempo stesso il fine e la fine dell’umano, non nel dono verso l’altro ma nel continuo martirio della propria carne.

Il Dealer cerca di creare una sua solitaria autosufficienza, instaurando con gli altri meri rapporti funzionali. L’isolamento si rompe dinanzi all’eventualità dell’esistenza di una figlia: ecco che il suo desiderio di donare se stesso viene risvegliato e catalizzato verso la bambina, verso l’esterno. I continui movimenti di camera divengono più inquieti, le inquadrature più strette sui volti, il Dealer cerca un senso nelle cose fuori di sé. Ritorna dal padre, che è ritenzione incarnata della memoria, prigioniero e adoratore della forma che il corpo della moglie ha lasciato nell’asfalto sul quale è precipitato, forma in cui ristagnano i ricordi e il risentimento, limacciosi come una pozzanghera. Tenta di assicurarsi l’affetto della bambina, ma l’innocente diffidenza di lei lo respinge. Viene lasciato dalla sua ragazza, rivelatasi incapace di accogliere l’ingresso dell’alterità nella propria vita. Si ritrova di nuovo solo, solo con il suo corpo.

L’unica via d’uscita rimane la dissipazione definitiva di sé. Suggestionato dall’adorazione di un suo amico e cliente per il dio sole, simbolo dell’inesauribile dispendio di energie e fulgore, il Dealer decide di suicidarsi nel solarium ereditato dall’istruttore che aveva aiutato a morire. La consumazione del suo corpo diviene simile all’affievolirsi di una stella nel buio cosmico, l’ultima sua traccia è una sfavillante fessura che squarcia l’oscurità avviluppante dell’inquadratura fino a spegnersi nella dissolvenza in nero. Il rumore bianco di sottofondo, incessante dall’inizio del film, rimane unica radiazione nel vuoto.

 


 

Titolo: Dealer
Anno:
2004
Durata: 160 min.
Origine:
UNGHERIA
Colore:
C
Genere:
DRAMMATICO
Specifiche tecniche:
35 MM
Produzione:
ANDRAS MUHI E ISTVAN MAJOR PER INFORG STUDIO, FILMTEAM, BOJE BUCK PRODUKTION, SAT.1

Regia: Benedek Fliegauf

Attori: Felícián Keresztes (Dealer); Barbara Thurzó (Barbara); Lajos Szakács (Apa); Anikó Szigeti (Wanda); Edina Balogh (Bogi); Dr. Dusán Vitanovics (Dragan); Katalin Mészáros (ragazza del fungo allucinogeno).
Soggetto:
Benedek Fliegauf
Sceneggiatura:
Benedek Fliegauf
Fotografia:
Péter Szatmári
Montaggio:
Balázs Féjja e Károly Szalai
Musiche:
Raptors' Kollektíva (Benedek Fliegauf e Zoltán Tamási)
Scenografia:
Zsuzsa Mihalek
Costumi:
Mónika  Matyi

 

Riconoscimenti

Reperibilità

 

http://www.youtube.com/watch?v=8X8-d_ySXT8

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